blog di Carlo Cuppini

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mercoledì 30 novembre 2022

Il dilemma del giudice

In queste ore la Corte Costituzionale prende la sua decisione sulla legittimità degli obblighi vaccinali, delle sospensioni dal lavoro di personale sanitario e scolastico e, indirettamente, di tutte le sospensioni dei diritti dei cittadini non vaccinati costituite dai due green pass.
Se fossi uno dei giudici della Consulta, non avrei dubbi sul merito tecnico della questione: anche in uno scenario epidemico critico, non è possibile subordinare il godimento dei diritti più elementari – come il lavoro, la libera circolazione, l'istruzione e la cura del proprio benessere psicofisico – all’assunzione di un farmaco che non impedisce l’infezione e non blocca i contagi, ma li limita in una misura parziale e rapidamente decrescente fino al paradosso della protezione negativa (che comporta cioè maggiore probabilità di infezione) descritto dagli ultimi dati elaborati dall’Istituto Superiore di Sanità (nell'ultimo report i vaccinati con tre dosi in età da lavoro risultano essersi infettati in misura percentualmente maggiore rispetto alla stessa fascia di cittadini non vaccinati; del resto i più ufficiali degli esperti, come per esempio Antonio Cassone, metteva in guardia dal rischio della "exhaustion" rispetto all'ipotesi di procedere con la terza dose: questo prima che la terza dose diventasse dogma, e quindi che tutto il dibattito venisse ridotto d'autorità a un'unica proposizione possibile: "va fatta, funziona").
Guardando lo storico dei dati ufficiali italiani, e confrontandolo con quello di altri Paesi con diverse situazioni percentuali di copertura vaccinale e scelte normative completamente diverse, non avrei dubbi riguardo al fatto che la politica delle esclusioni non è stata inevitabile rispetto all’obiettivo di evitare la catastrofe, né dirimente riguardo agli sviluppi della pandemia nella direzione di una normalizzazione. Questo senza negare il potere dei vaccini di conferire una protezione individuale, almeno parziale e temporanea, sicuramente utile alle fasce a rischio, soprattutto in assenza di adeguati protocolli clinici che rilevassero con tempismo e incisività le evidenze emerse fin dalla fine del 2020 sulla capacità degli antinfiammatori di ridurre la necessità di ospedalizzazione dell’80-90%. Guarderei al tema dell’entità dei danni collaterali noti e della doverosa considerazione in senso precauzionale di quelli ignoti come un’altra questione ancora, che tutto sommato non cambierebbe le precedenti osservazioni, né influirebbe sulla mia bocciatura di ogni tipo di esclusione dalla vita sociale e professionale dei non vaccinati, o non abbastanza vaccinati.
Il mio dilemma, come giudice della più alta Corte, sarebbe tutto politico.
Dovrei agire in modo consequenziale alle mie convinzioni, e quindi dichiarare incostituzionale la politica delle esclusioni, accusando implicitamente del più aberrante crimine la grandissima parte dei protagonisti del sistema politico e istituzionale italiano del recente passato e del presente?
Oppure dovrei salvare l’establishment, a costo di consegnare al governo attuale, e a tutti quelli futuri, il principio secondo cui i diritti basilari dei cittadini rientrano tra le disponibilità dei governanti, quando si tratti di gestire un rischio e di amministrare una situazione variamente critica (cioè, potenzialmente, sempre)?
Sacrificare quindi Mattarella, Draghi, Conte, Speranza, Renzi, Berlusconi... – e con loro Ricciardi, Locatelli e la quasi totalità dei dirigenti di istituzioni sanitarie nazionali –, oppure rendere Meloni e i suoi successori onnipotenti, e inarrestabili nella strada della limitazione, modulazione, distribuzione dei diritti a uso politico?
Entrambe le opzioni aprirebbero a scenari sociali e politici parimenti devastanti e tragici.
Di fronte a tale dilemma credo che mi tornerebbero alla mente gli occhi del dodicenne che quella volta non poté entrare nel campo da calcio, mentre i suoi amici vaccinati, compresi alcuni con covid asintomatico, iniziavano a giocare, con la benedizione delle autorità laiche, di quelle religiose e di quelle mediatiche. Mi tornerebbero in mente gli occhi del quindicenne che non poté salire sull'autobus per andare a scuola, pur avendo un tampone negativo. Mi tornerebbero in mente gli occhi del diciassettenne che non poté entrare in un museo, mentre cento persone, certe di "frequentare persone non contagiose" si accalcava davanti alle opere.
A quel punto prenderei la mia decisione.

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