Trovo affascinante, struggente e inarrivabilmente esemplare la figura di Giacomo Matteotti, non solo per il suo consapevole martirio, ma anche per il suo anticonformismo, per la sua scelta della scomodità.
Era ricco, poteva avere una vita agiata e tranquilla: scelse di stare con i reietti e di battersi contro la propria classe di appartenenza. Non solo: scelse di essere minoranza anche nell'opposizione, dissenso all'interno della rivoluzione, spina nel fianco per chi sapeva cosa bisognava pensare e cosa bisognava fare. Lui "non sapeva" cosa bisognava pensare, evidentemente, per stare certificatamene dalla parte giusta: perciò, forse, Gamsci lo definì "pellegrino del nulla".
Fu pacifista quando tutti, anche nell'area socialista, erano guerrafondai. Prese pesci in faccia da destra e da sinistra.
Tra gli antifascisti, non doveva essere il più potente, né il più influente, né il più pericoloso per il governo. Chissà perché ammazzare proprio lui, allora? Perché aveva l'eloquio più audace? Perché cercava la verità più a fondo, senza inseguire i bandoli dell'ideologia? Perché proprio il suo anticonformismo, la sua solitaria determinazione, ha provocato un brivido di terrore nel corpo del dittatore? Non lo so.
Quello che penso oggi è che fa strano vedere che l'intera classe politica italiana si accomoda intorno a questa figura scomoda, che stava scomoda per conto suo, e che costringeva tutti a sentirsi scomodi, a disagio. Oggi pare che tutti si trovino perfettamente a proprio agio nelle celebrazioni ecumeniche di Matteotti. Perfino la Meloni e l'intera combriccola di post-fascisti al governo.
Io, per celebrare Matteotti, voglio mettermi un po' scomodo; voglio attirarmi magari qualcuna di quelle occhiatacce che gli Unanimi riservano ai guastafeste; voglio ricordare una cosa scomoda che stava facendo Matteotti quando è stato ammazzato, che era scomoda allora e secondo me un po' è scomoda anche ora. Tant'è che non l'ho sentita dire da nessuno.
Nel 1924, tra le sua varie attività civiche, tra politica e giornalismo, Giacomo Matteotti stava indagando sulla concessione data dal governo italiano alla Sinclair Oil per le trivellazioni e l'estrazione del petrolio in Italia. Pare che la concessione fosse straordinariamente, esageratamente, ingiustificatamente favorevole alla società petrolifera americana sostenuta dai più grossi gruppi finanziari newyorkesi – Rockfeller & Co – e straordinariamente sfavorevole allo Stato italiano. E questo favoritismo pare derivasse dal pagamento di tangenti al dittatore e ad alcuni gerarchi fascisti.
Nel 1947 la Corte d'Assise ha stabilito che Matteotti non è stato ucciso a causa della sua indagine (la motivazione, invero, è bizzarra: poiché il governo aveva un grande interesse a ucciderlo in quanto antifascista, non poteva volerlo uccidere per motivi d'altra natura, per esempio per impedirgli di svelare un colossale scandalo di corruzione e tangenti internazionali; il concetto di "due piccioni con una fava" non deve essere stato preso in considerazione dai magistrati).
Ma la questione, qui, non è tanto il motivo dell'assassinio: è certo che degli squadristi fascisti hanno agito, e che Mussolini ha rivendicato. Fine.
La questione – e torno alla scomodità, mia, vostra, loro – è che mentre Matteotti si preparava a sacrificare la vita per la verità, e per contrastare Mussolini e il Fascismo, c'erano lobby economiche americane che facevano disinvoltamente, opacamente e sudiciamente, affari con Mussolini e con il Fascismo, di fatto finanziandoli.
Cose analoghe, peraltro, sono accadute anche in seguito, con altri lobbisti, dittatori e regimi per protagonisti. E accade anche ora.
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