blog di Carlo Cuppini

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venerdì 30 ottobre 2009

26 - Come grattarsi una spalla mentre scrivo una relazione per il ministero


Vorrei svegliarmi la mattina e sentire l’aria, sentire i respiri miei e degli altri umani, degli altri animali, delle creature; sentire il cosmo che gira, sentire del tutto intuitivamente le parti viventi di un mondo vivente, inafferrabile, non condificabile, ma percepibile, palpitante, partecipabile, miracoloso, piovoso, soleggiato, pervasivo. Vorrei sentire con levità e serietà che lo spirito c’è, eccome se c'è, e che magari, a seconda dei momenti, e dell’umore, e della lucidità, potrei chiamare dio, nuvole, bellezza, gioia, disperazione, utopia, tristezza, prurito, realtà, respiro, amore, noi, morte, nascita, niente, creazione, fuoco, spirito santo, santità, venuta dell’angelo.

Mi piacerebbe che questo fosse un movimento spontaneo del mio essere, un attitudine fisiologica, leggiadra e disinteressata, a cui non dover porre troppa attenzione, quasi un sovrappensiero, come fare pipì prima di uscire, come uno sbadiglio, uno stiracchiamento seduto sul bordo del letto, un battito delle palpebre guardando il mio amore, un grugnito al risveglio. Come grattarsi una spalla mentre scrivo una relazione per il ministero. Come un fatto incredibile e inaudito che piomba in me con la naturalità della nascita di un cucciolo di gatto in giardino. Un fatto che quasi non chiede parole per essere spiegato, comunicato, accettato; ma che forse chiede poche, segrete, parole per diventare un fatto del tutto umano, del tutto reale, del tutto vicino, familiare, desertico e quotidiano.
Vorrei svegliarmi con una totale libertà di quei vuoti del corpo e della mente che si aprono allo stupore e al sacro, grazie a quei piccoli blackout. Come quando stacchi da ciò che stai facendo per andare a fare la cacca, e allora, grazie a quell’interruzione della logica in corso, ti balena l’idea più geniale e inattesa, e piena di grazia, della giornata.
Invece c'è la Chiesa, che ha rubato dio.

Hanno cacciato don Santoro da Firenze.
Dalla Comunità di Base delle Piagge, dove da anni aveva trasformato l'incubo della peggiore periferia fiorentina in un piccolo regno di umana utopia, di umano rispetto, di scambio, conoscenza, solidarietà. L'hanno cacciato perché ha disobbedito: ha celebrato in nome di dio un matrimonio tra due credenti che vlevano essere benedetti. Un matrimonio che però non andava celebrato. Il Vescovo si è incazzato, e l'ha cacciato. Il Vescovo è nuovo a Firenze. Alle Piagge non c'è neanche mai stato. Il Vescovo è ricco, mangia bene, veste bene, si fa la barba. Il Vescovo crocifigge Cristo, e milioni di cristi, ogni giorno, a ogni suo passo su questa terra, con ogni suo respiro e a ogni sua parola, a ogni sua decisione.
La Chiesa Cattolica è un crimine contro l'umanità, come sempre, da sempre.

Voglio dedicare un pensiero a don Santoro. Anzi un'immagine: una foto in bianco e nero di Mario Giacomelli che ritrae tanti giovani preti che ballano come dervisci, che ridono, scherzano, giocano, si guardano, si sfiorano.
E poi voglio dedicargli il pensiero del sorriso dei preti che fino a mille anni fa si sposavano come tutti gli altri umani, prima che la Chiesa calasse su di loro uno dei tanti editti che veicolano morte e dolore.
E poi voglio dedicargli la visione che ho avuto qualche giorno fa a Bologna: di una giovane suora, bellissima luminosa e sensuale, quasi abbracciata a un altra ragazza come lei, in giubbotto di pelle e stivali: si guardavano con i volti a un palmo di distanza, le bocche distese in due larghi sorrisi, quasi a sfiorarsi, lo sguardo illuminato e, avrei potuto giurarlo, innamorato.
E poi voglio dedicargli l'immagine di me, che mentre scrivo una pallosa relazione per il ministero e mi gratto una spalla, mi rendo conto che quello è dio che viene a me si soppiatto, da ribelle, per distrarmi, trovando il modo di arrivare a me senza che io debba pagare la tassa ai banditi che l'hanno sequestrato.

E poi voglio dedicargli il pensiero apocalittico ed esilarante del mio amico Ivan, persona blasfema come poche perché come poche ama la vita, che il giorno di Natale celebrerà la Messa davanti ai pazzi e agli infermieri dell'ospedale psichiatrico sperduto nella giungla, in India, dove si è andato a cacciare: questo gli ha chiesto il direttore, perché Ivan è italiano e lì non c'è un prete; e questo sono sicuro che Ivan farà: celebrerà la Messa di Natale e io, caro don Alessandro, io vorrei invitarti, da uomo a uomo, a venire con me a partecipare a questa balorda messa indiana. Se solo potessimo teletrasportarci, vorrei regalarti questo viaggio, andata e ritorno in giornata, per esprimerti la mia stima, il mio sostegno, e per avere occasione di fare due chiacciere con te. Sono sicuro che tu accetteresti l'invito. E saremmo, anche lì, con dio.