blog di Carlo Cuppini

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venerdì 27 giugno 2014

Ritorno alla narrativa

La prolungata assenza dal blog (proprio quando avevo annunciato un'assiduità quasi quotidiana) è in parte dovuto a un non previsto ritorno alla letteratura. Covato e cercato per anni, ma non previsto in questo momento. Invece, approfittando di una decina di giorni di solitudine, con Ramona e Maia in trasferta a Venezia per lavoro, ho scritto un racconto di circa 20 pagine, intitolato provvisoriamente Il carico. Avevo un incipit forte e un nucleo di intuizioni, altrettanto forti ma vaghe e sfuggenti, che potevano condurre il racconto a destinazione. Ma non è stato facile. Il lavoro, durato cinque sere consecutive, mi ha indotto la ripresa di alcune riflessioni sul mio rapporto con la narrativa.
Il luogo interiore dell'ispirazione e della creazione è molto prossimo alla dimora dei fantasmi e dei demoni. Per poter scrivere è necessario chiudersi a chiave, soli, dentro quella stanza. E lì è molto facile essere attaccati dai demoni. La parte oscura vuole dire la sua, cercherà di prendere in mano la direzione del lavoro, spingerlo verso un vicolo cieco, distruggerlo, e possibilmente distruggere, almeno un po', almeno temporaneamente e virtualmente, anche l'autore. Devo calarmi in quelle zone per poter scrivere, non c'è alternativa. L'attività poetica è aprire le porte dell'inconscio, e da quelle porte può uscire di tutto. In più il corpo della scrittura, morbido e modellabile, come quello del sogno, si presta a essere infestato dall'oscurità. La scrittura che mi si confà non prevede la creazione di una struttura prima che esista lo svolgimento concreto della scrittura: questo offre gioco facile ai demoni che vogliono tirare giù tutto, nei bassifondi dove possono fare ciò che vogliono. La creazione della struttura metterebbe al riparo da questi attacchi, ma renderebbe il corpo della scrittura morto, chiudendo il rubinetto alla linfa che deve circolare. Così si deve scrivere, si deve guidare il flusso (di cui si è autori e responsabili solo al 50%) e allo stesso tempo si deve lottare con i demoni, per salvare il progetto, e se stessi. Dopo la seconda sera stavo per gettare la spugna: mi sembrava di essere totalmente in balia dei demoni, avevo paura di uscire da quella 'stanza' e andare a letto, come se i demoni potessero venire fuori con me, e infestare realmente la casa. La terza sera è stata cruciale: aperto e disarmato, perché il flusso circolasse, e allo steso tempo armato per dirigere il racconto fuori dalla palude del solipsismo, dove i demoni lo attiravano per terrorizzarmi e dissuadermi. Non so come, l'ho spuntata. Ho fatto fluire le parole, alimentandole con le intuizioni dei giorni prima, che riuscivo ad attualizzare, rendendole più forti dell'azione dei demoni. Sono riuscito a mantenere questo equilibrio fino alla fine, quando più quando meno. Quando ho sentito che riuscivo a mantenere il controllo del timone, ho cercato di scrivere il più in fretta possibile, per mandare la barchetta il più avanti possibile finché le condizioni erano favorevoli. Ma a un certo punto la stanchezza imponeva di staccare, forzare sarebbe stato peggio. Procedendo a tappe forzate sono arrivato in fondo alla stesura, con soddisfazione, stupore, e soprattutto sollievo. Avevo salvato quasi tutto quello che mi era volato nei luoghi dell'ispirazione a livello di intuizioni, visioni e sensazioni, quasi tutto, a parte forse nell'ultimissima parte, dove la volontà di concludere senza essere tradito proprio all'ultimo tuffo mi ha reso precipitoso. Ora il discorso della creazione è chiuso. Quello che c'è c'è. Adesso c'è da fare un lungo lavorio di revisione, processo artigianale, di sensibilità e intelligenza, dove i demoni non hanno alcun potere di interferenza.
Un'altra riflessione è la seguente: da giovanissimi (prima di un figlio) non si può che fare poesia, intesa come dispositivo verbale-gestuale per compiere dei raid nella realtà in presa diretta, degli assalti per manomettere i binari e fare andare in direzioni inattese i treni del senso, producendo una serie di appunti di una guerriglia politica. Dopo, non può che esserci la narrativa, meditazione profonda sulla vita la morte la memoria la tenuta e il tempo.