blog di Carlo Cuppini

blog di Carlo Cuppini



venerdì 6 settembre 2024

"Il figlio peggiore", di Peter D’Angelo e Fabio Valle

Come in un thriller convenzionale, arrivati al termine di Il figlio peggiore – il romanzo di Peter D’Angelo e Fabio Valle uscito per Fandango Libri – tutte le domande che la storia ha aperto trovano una risposta. In questo caso, però, sono le stesse risposte a far nascere un ulteriore e più grave interrogativo: dove finisce l’opera di fantasia e dove comincia la ricostruzione storica?

Entrambi gli autori sono giornalisti d’inchiesta. Di Valle, per mia ignoranza, non so dire niente di più. Di D’Angelo, avendo seguito il suo lavoro su "Il Fatto quotidiano” negli ultimi anni, posso dire che è un giornalista rigoroso, coraggioso e interessato alle verità, specie quelle non palesi. Questi dovrebbero essere attributi base del giornalista, requisiti minimi, per così dire, e pertanto non andrebbero neanche citati. Ma non è così in un Paese - l’Italia - che ristagna in una zona grigia della classifica sulla libertà di stampa, non solo a causa delle tendenze illiberali dei governi di destra e delle costanti intimidazioni malavitose, ma anche per via dell’autocensura che i giornalisti s’impongono per non scontentare il padrone, o per non mettersi contro il sentire comune (il quale, a sua volta, si determina compatto e intollerante quando c’è sostanziale unanimità sui media). Lavorando su temi sanitari negli anni della pandemia, Peter D’Angelo ha svolto un lavoro egregio, tenendosi alla larga tanto dalla retorica e dai tabù dell’area filogovernativa, quanto dalle parole d’ordine e dalla controretorica degli antigovernativi. In altre parole, ha fatto seriamente il lavoro di giornalista, non dimenticando che questo costituisce il quarto potere della democrazia.


Il figlio peggiore racconta le indagini del giornalista romano Carlo, personaggio di fantasia, sulla diffusione delle droghe in Italia. L’esito dell’inchiesta si può rivelare qui senza paura di rovinare la lettura, perché non è su questo che è costruita la tensione narrativa. Anzi, la risposta è scritta già nell’epigrafe: attraverso l’operazione Blue Moon, all’inizio degli anni Settanta, lo Stato Italiano ha avviato e gestito, inizialmente in modo pressoché monopolistico, la diffusione della morfina e dell’eroina nel territorio, immettendone quantità imponenti a prezzi stracciati, allo scopo di contaminare e portare all’autodistruzione le diverse anime della contestazione.


Dicendo “lo Stato Italiano”, secondo la ricostruzione fornita da questo romanzo che sappiamo essere basato sulla lettura di carte processuali, va inteso lo Stato nella sua forma più ufficiale – con riunioni svoltesi nelle sedi ministeriali, e non in oscuri scantinati, con il coinvolgimento di parlamentari, segretari di partito, generali, membri dell’intelligence USA, servizi segreti, manovalanza neofascista, caporedattori di testate nazionali – e non una serie di mele marce, i cosiddetti “pezzi dello Stato”, o i cosiddetti “servizi deviati”, parole magiche con cui solitamente si libera da ogni responsabilità lo Stato nel suo insieme, e ogni sua singola istituzione.

La trama del libro sarebbe coinvolgente anche se si trattasse solo di un romanzo di fantasia; ci si affezionerebbe ugualmente ai personaggi – si compatirebbe, in particolare, la parabola tragica del protagonista. Ma la portata cruciale delle verità storiche che vengono toccate spinge in secondo piano le riflessioni che si potrebbero fare sul piano puramente narrativo dell’opera.


In questo senso, la lettura lascia dietro di sé un’altra domanda, forse ancora più scomoda della precedente: i due autori ci stanno forse parlando anche di qualcos’altro? Ci sono argomenti che afferiscono alla storia italiana più recente che non possono essere trattati, se non parlando d’altro? Brecht, parlando di Galileo, ha parlato di molte altre cose, comprese quelle per lui più pressanti e attuali. E lo stesso vale per altre sue opere, e per opere di molti altri autori, che hanno avuto a che fare con regimi dittatoriali, o totalitari, o repressivi, o intolleranti, o illiberali.

Di certo ad alcuni lettori il libro ricorderà altri episodi che, analogamente all’operazione Blue Moon, hanno avuto il compito, o comunque l’effetto, di imprimere un netto cambio di direzione nella storia nazionale e non solo.


A me viene in mente il G8 di Genova del 2001, con l’oscuro ruolo dello Stato che solo in parte è stato acclarato dalle inchieste giudiziarie che hanno portato alla decapitazione dei vertici della polizia. Quell’inaudita, prolungata e pianificata carneficina – che i più sul momento, e per anni, hanno in qualche modo giustificato dando credito alla versione ufficiale dei manifestanti violenti – con il suo significato di tortura collettiva ha traumatizzato un’intera generazione e segnato l’inizio della fine dell’esperienza del Social Forum Mondiale, il più radicale, solido e creativo movimento di contestazione che avesse preso piede dalla fine degli anni Settanta. Come è possibile, viene da chiedersi, che tutti i governi che si sono succeduti dopo quell’evento esiziale – tutti, di qualsiasi colore – hanno ritenuto opportuno e appropriato promuovere l’allora Capo della Polizia Gianni De Gennaro, fino a farne il presidente di Finmeccanica / Leonardo?

E, ancora, mi vengono in mente gli anni della pandemia, dove ancora tutto è oscuro e molto è tabù. Ma quello che è incontrovertibile è che il rapporto tra le istituzioni dello Stato e i cittadini - in Italia e non solo – è stato irreversibilmente modificato: nel senso di una consegna di diritti e libertà fondamentali nelle disponibilità politiche del governo. Il cui volto e la cui retorica - indipendentemente dai colori politici della compagine del momento – hanno preso a ricordare quelli paternalistici e autoritari dello “Stato etico”.

giovedì 5 settembre 2024

Recensione di "Logout" su PULP Libri

"(...) Cuppini affronta molte tematiche differenti nel corso del romanzo, tutte interessanti e attuali. (...) Fino a dove possiamo spingerci pur di essere circondati dalla comodità? Altro tema è l’utilizzo dei social che anche in questo caso viene estremizzato: un mondo in cui gli influencer dettano legge a suon di like e video per ottenere un buon punteggio nella classifica generale della città, punteggio che determinerà il tuo ruolo nella società. Poi non possono mancare l’amicizia, valore fondamentale nei romanzi di formazione per ragazzi, e un moto di ribellione nei confronti di una stortura o di un’ingiustizia. Una storia per nulla banale e ben strutturata, con una giusta tensione narrativa e continui colpi di scena, che sottolinea cosa conti realmente nella vita, e che speriamo convinca i giovani – cittadini di domani – della propria importanza e del potenziale sito dentro ciascuno: qualunque cosa vogliano diventare saranno in grado di diventarlo, anche senza tecnologia ma coltivando sempre i rapporti umani."

Qui la recensione integrale:

Grazie a Valentina Marcoli per l'attenta lettura.

mercoledì 28 agosto 2024

"Logout" su Rai Cultura

"Anche noi come Luca viviamo in un mondo che promette e pretende di essere il migliore dei mondi possibili, e quindi non tollera più di tanto le critiche radicali."
...Che bello parlare di "Logout" sul portale di Rai Cultura!
Grazie a Federica Velonà per avermi invitato e all'ufficio stampa di Marcos y Marcos per il fantastico lavoro.
https://www.raicultura.it/letteratura/articoli/2024/08/Carlo-Cuppini-Logout-648e5c6b-3c28-42b4-80ac-7841e490835d.html 

lunedì 15 luglio 2024

Superlunaria, rivista immaginaria


Per quanto sia del tutto immaginaria, Superlunaria è una rivista cartacea. E per di più è un’opera magnifica, e monumentale.
E’ immaginaria perché tutto, di essa e in essa, è immaginato. Anche la realtà, laddove le parole la intersecano (e accade spesso, o forse sempre, anche se in modo camuffato). Tutto qui è letterario, è alta e rara letteratura. Pertanto, tutto è finto. Tuttavia niente è falso (almeno secondo le valutazioni del sottoscritto). Tutto è paradosso, rovesciamento, provocazione, specchio nello specchio. Superlunaria è un gioco iperletterario, coltissimo, erudito, eremitico ed ermetico. Totalmente autoreferenziale: i redattori – ammesso che non siano essi stessi soltanto immaginari - hanno fatto tutto, anche le lettere alla redazione, le critiche, gli insulti, i rimandi da un pezzo a un altro. Ma - magia dello specchio nello specchio! - questa autoriale e divertita autoreferenzialità diventa lucida e chirurgica analisi del mondo esterno - quello reale, brutale, che neanche è degno di essere immaginato. Quello che ci schiaccia sempre sotto il tacco dello stivale - il Presente, la Storia. Superlunaria è dadaismo (perché se ciò che ha un senso produce ciò che produce, allora che nulla abbia un senso!), è situazionismo (perché dal non senso nasca un nuovo, instabile senso), è surrealismo (perché ciò che sgorga dalla fonte dell’irreale non smetterà mai di sopravanzare il reale), è tranello col cuore in mano, è inganno rivelatore, è disfatta edificante, è travestimento denudante, è una rosa è una rosa è una rosa è uno schiaffo, è un colpo di tosse è il seme che va di traverso è la luna.
Gli autori di Superlunaria sono in realtà persone in carne e ossa, e sono portatrici di acute, caustiche, metamorfiche e meravigliose intelligenze. Intelligenze che hanno attraversato la vasta terra della critica pandemica uscendone rinvigorite.
Fabrizio Masucci, in primis, lunatico direttore-demiurgo nonché editore, spettro che si aggira con partenopea e sbeffeggiante eleganza tra i caratteri mobili che hanno impresso le pagine. E caro amico. E poi, in ordine alfabetico, Gabriele Busti, Tommaso Moscardini, Francesco Scardone, Alex Tattoli, Vanni Trentalance. Questi nomi diranno qualcosa ad alcuni di voi. Non si possono non citare inoltre il sopraffino lavoro grafico di Giovanna Grausco e le preziose illustrazioni di Mariagrazia Catenacci.
Ogni pagina è una sorpresa e un bosco di riferimenti che ogni bibliofilo godrà a scovare, mentre il suo cervello macina a duecento all’ora le fulminanti provocazioni camuffate da oziose, talora barocche discettazioni. E io non posso chiudere questa recensione senza rivelare qual è la pagina che più mi ha divertito, e, per genialità, costretto a levarmi il cappello. La pagina con l’accidentale interpolazione (con tanto di adesivo con cui la redazione si scusa per l’increscioso inconveniente) di un foglio di un’altra rivista, il Licantropo. Il Licantropo è il rozzo, irresistibile e irrinunciabile alter ego della raffinatissima Lunaria, un vero Mister Hyde che rivela in forma schietta, brutale (con tanto di refusi in vista e grafica underground) pensieri che, nel resto della rivista, si librano tra le alte sfere travestiti da armoniosi corpi celesti. Ed è lì, dove si inciampa nel piede del Licantropo, che una risata da osteria compie la messa a terra liberatoria. E, girando pagina, torniamo a librarci nell’etere leggeri e sorridenti come un astronauta. Incazzato, per il tutto che ci hanno levato.
Superlunaria esce a cadenza bimestrale. Si può acquistare. Ci si può anche abbonare. Io non avrei esitazioni. Tutto sul sito https://superlunaria.it.

giovedì 11 luglio 2024

"Hotel Madridda" di Grazia Verasani

"Hotel Madridda" (Marsilio Editori) è un racconto lungo di Grazia Verasani, rarefatto nell’ambientazione e nella trama, quanto denso nelle emozioni che smuove e nelle riflessioni che suscita. Le coordinate sono vaghe: c’è stata una guerra, qualcuno ha preso il potere, gli avversari sono stati sbaragliati, il dissenso è stato cancellato e i suoi tentativi di rinascere vengono eliminati sul nascere. Il totalitarismo che impera naturalmente è per il bene dei cittadini, per la loro sicurezza: come sempre il totalitarismo è stato giustificato - e recepito dagli interessati - nel corso della Storia.

A fare le spese di questo assetto politico e sociale evidentemente è la libertà di opinione e di parola - e la comunità che ruota intorno alla protagonista del libro riunisce proprio anziani intellettuali e artisti che hanno avuto qualche alzata di testa, anche modesta magari, e quindi sono stati segregati in un luogo dove non possono nuocere. Ma la vera vittima è la voglia di vivere. Se, in assenza di qualunque speranza, i vecchi stanno attaccati alla vita e ai propri ricordi a oltranza, induriti e incattiviti, rivivendo continuamente una versione egoista e inacidita delle ideologie e dei valori che hanno animato le loro battaglie, i giovani si gettano nel vuoto per schiantarsi al suolo. Ultima e unica forma di libertà? Puro nichilismo, e quindi vittoria del sistema? Libertà o annullamento che sia, si tratta di una conquistata clandestina, e difficile: anche uccidersi è vietato, e il luogo prescelto dagli aspiranti suicidi è presidiato militarmente. Tuttavia ogni tanto qualche ragazzo o ragazza riesce a salire in cima all’Hotel Madridda - il cui incombente profilo Selma vede dalla sua finestra - e a lanciarsi di sotto.

La trama è minima, ma non è esile; accadono poche cose, e tuttavia il libro chiede di essere letto tutto d’un fiato. Vogliamo sapere urgentemente come va a finire quel nocciolo narrativo che è stato messo in moto. O come non va a finire. Vogliamo sapere se e in che modo il cupo espressionismo apocalittico che si dipana paragrafo dopo paragrafo ha a che fare con la nostra vita, con il nostro tempo, con il nostro futuro. Vogliamo capire se si tratta di una visione esistenzialista, o metafisica (kafkiana o buzzatiana o beckettiana, con un po’ del Pasolini di Teorema…), o se quel pungolo che sentiamo accanto al cuore è incuneato anche nella Storia, nella nostra storia recente, perfino.

Probabilmente ogni lettore troverà le sue risposte, e alcune domande resteranno aperte, con il loro carico di inquietudini. Ma qualche indizio ce lo dà l’autrice, fuori dal romanzo, nelle interviste. Quando dice, per esempio che: “L’idea di raccontare le derive psicologiche dovute a una repressione e a un sistema manicheo dove non ci sono più sfumature, fa parte della mia visione del mondo. Ma questo libro è nato di getto, in pochi mesi, anche se l’avevo covato e immaginato soprattutto nell’ultimo periodo della pandemia, quando eravamo in clausura. Forse si sente questa asfissia, questa libertà che manca, il respiro corto. E poi mi aveva molto colpito leggere dell’aumento dei suicidi tra gli adolescenti.”

Qui si potrebbe aprire una discussione su come e su quanto i bambini e gli adolescenti siano stati abbandonati durante la pandemia (e anche biasimati, colpevolizzati e perseguitati, quando sospettati di non recepire con sufficienti sollecitudine ed entusiasmo le raccomandazioni, dall’isolamento, alla mascherina alla vaccinazione); discussione che potrebbe continuare con una valutazione di quanto sia stato tolto loro in quella circostanza prolungata, e di come successivamente sia stato omesso qualsiasi ragionamento su possibili compensazioni, risarcimenti, riparazioni.

Invece è meglio lasciare che questa storia così potente si agiti e colpisca e risuoni dove le pare, dove incontri il giusto rapporto tra il duro e il morbido nell’animo di ogni lettore e lettrice. Anche perché, appunto, molti di noi hanno avuto la sensazione di essere stati toccati e scottati da quel “sistema manicheo dove non ci sono più sfumature”, in cui non si può più parlare. E poi, indulgere su queste specifiche vicende significherebbe rimpicciolire la portata dell’opera, che è ampia e lambisce lati oscuri dell’essere umano che sono capaci di manifestarsi nell’interazione con le più diverse sollecitazioni storiche, con le più svariate giustificazioni razionali.

Penso che le storie come questa – i sogni, gli incubi, le visioni scatenate con onestà e con altrettanta onestà consegnate alla loro libertà nel mondo, senza costringerle verso una o un’altra direzione - abbiano oggi il potere di portarci oltre la detonazione che indubbiamente c’è stata, e dalla quale forse non ci siamo ancora ripresi.

giovedì 20 giugno 2024

L'Anima forse, di Carla Cuppini

Sono felice che Carla Cuppini, sorella di mio padre, abbia concluso un lungo percorso personale dentro la poesia con un lavoro di grande sintesi che ha infine assunto la forma di una piccola, curata pubblicazione con Ladolfi Editore. E sono felice che abbia chiesto a me, in virtù degli intensi scambi che abbiamo avuto in questi anni, di scrivere un contributo che aggiunga qualche impressione esterna ma sintonica.
Riporto di seguito una parte della mia postfazione, e auguro al poemetto "L’Anima forse” di essere aperto e chiuso da tante mani, in modo che battendo le pagine possa fare il suo volo.




Il disegno in copertina è un ritratto dell'autrice a trent'anni realizzato dal padre Renato Cuppini, medico e artista.

—-



Ciò che mi unisce all’autrice di questo poemetto non è soltanto l’omonimia, che lega entrambi a Carlo Cuppini pittore – fratello del padre per lei, fratello del nonno paterno per me – scomparso nel 1939. A unirci soprattutto è un comune sentire rivolto alle cose immateriali, nella misura in cui si dà la possibilità di costeggiare i lidi che le custodiscono attraverso la pratica della parola. Discorsi sulla poesia, sulla filosofia, sulla religione, sull’etica, sulle visioni interiori, sul sentimento e sulla scrittura: di queste cose si è riempito negli anni lo spazio della nostra relazione, pure fatta di rare occasioni d’incontro, a causa delle distanze fisiche.
Parola poetica: parola cioè che non si limita a replicare e a veicolare significati da persona a persona e da generazione a generazione; ma che li crea, dando origine a connessioni inaudite tra le cose. In questo senso non sarebbe errato dire che ogni parola, anche involontariamente, è poetica; il discrimine sta nell’intenzione e nella consapevolezza – e nondimeno nel rischio – di spingersi oltre la vasta e soddisfacente gamma delle associazioni preconfigurate, forzando la mente e lo spirito a operare affatto diversamente da una tastiera predittiva; e questo per richiamo insopprimibile verso una soddisfazione più piena, della cui possibilità – evidentemente e pur senza averne alcuna prova – non si dubita.
Una poesia non è, in primis, un discorso – neanche un discorso poetico: è una creazione fatta con le parole, come potrebbe essere fatta con l’argilla, o con i pigmenti, o con forme solide distribuite nello spazio, o con una sequenza di movimenti del corpo, o con immagini e suoni distribuiti nel tempo.
La parola capace di creare – e salvare – gli elementi e i frammenti che compongono il mondo immateriale che ci appartiene, a cui apparteniamo, è un mistero non minore di quello costituito dal neurone che cablandosi con cellule sue consimili provoca le attività mentali e le funzioni cognitive della persona.
Carla Cuppini è poetessa (la sua raccolta Per frammenti usciva esattamente trent’anni fa, nel 1994), è donna di studio e di scienza (è stata ricercatrice presso l'Istituto di Fisiologia generale dell’Università di Urbino e insegnante del corso di Neurobiologia), è persona di fede. Tre ambiti che per Carla sono accomunati dal senso del ricercare. Apertura, esplorazione e trasformazione, quindi. Interlocuzione, speranza e attesa. Scommessa, anelito e invocazione. E soltanto dopo, in subordine e con valore temporaneo, affermazione, definizione e catalogazione. In questo senso è un viatico leggiadro e insieme impegnativo – capace di scuotere perché apre – il “forse” messo nel titolo accanto ad “Anima”, quasi sostituisse un verbo impronunciabile, o un aggettivo segreto.
In questo poemetto la Scienza avvicina l’immateriale (l’Anima) per tentare di spiegarlo; ma al contempo l’immateriale (la Poesia) si accosta alla Scienza per cercare di spiegarla, fisicamente: perché non resti ripiegata su se stessa e venga illuminata in ogni sua parte da una luce che restituisce soggettività e vita ai suoi oggetti, e ai suoi artefici. S’intravede in filigrana un lascito lucreziano, nell’uso delle metafore che vengono in soccorso quando il ragionamento non può procedere, o dove s’intuisce la necessità d’un cambio repentino di piano.
Quale conoscenza in fondo non ha natura metaforica?
Si può forse dire che quella scientifica faccia eccezione?
La sua capacità di ricadere nella tecnica, fondandone i principi e assicurandone il funzionamento, rende forse le sue parole identiche alle cose, o aderenti a esse?

[...]

martedì 18 giugno 2024

25 giugno: presentazione di "Logout" a OVA Orto Verde Animali Firenze





Presentazione del nuovo romanzo per ragazzi di Carlo Cuppini "Logout" (Marcos y Marcos), martedì 25 giugno, ore 19, presso la fattoria didattica Ova - Orto Verde Animali, a Firenze, a 1 km da Porta Romana, zona Due Strade.
La scrittrice Lilith Moscon introdurrà e dialogherà con l'autore.
L’intelligenza artificiale controlla tutto.
Ogni desiderio viene appagato (se hai un buon punteggio).
In casa ci sono tutti i comfort.
Nel fuori si contano ottocento pericoli.
Nessuno esce, tutto è a distanza, tutto funziona.
Ma cosa resta della libertà nel mondo creato da Zucabezzo?
Luca e i suoi compagni stanno per scoprirlo…


Easy Living in Fattoria - OVA Orto Verde Animali
Via Bernardino Poccetti, 1, Firenze.
L'evento fa parte del programma di Felicità Metropolitane, organizzato da La Nottola di Minerva e inserito nel cartellone dell'Estate Fiorentina

giovedì 30 maggio 2024

Matteotti, scomodo

Trovo affascinante, struggente e inarrivabilmente esemplare la figura di Giacomo Matteotti, non solo per il suo consapevole martirio, ma anche per il suo anticonformismo, per la sua scelta della scomodità.
Era ricco, poteva avere una vita agiata e tranquilla: scelse di stare con i reietti e di battersi contro la propria classe di appartenenza. Non solo: scelse di essere minoranza anche nell'opposizione, dissenso all'interno della rivoluzione, spina nel fianco per chi sapeva cosa bisognava pensare e cosa bisognava fare. Lui "non sapeva" cosa bisognava pensare, evidentemente, per stare certificatamene dalla parte giusta: perciò, forse, Gamsci lo definì "pellegrino del nulla".
Fu pacifista quando tutti, anche nell'area socialista, erano guerrafondai. Prese pesci in faccia da destra e da sinistra.
Tra gli antifascisti, non doveva essere il più potente, né il più influente, né il più pericoloso per il governo. Chissà perché ammazzare proprio lui, allora? Perché aveva l'eloquio più audace? Perché cercava la verità più a fondo, senza inseguire i bandoli dell'ideologia? Perché proprio il suo anticonformismo, la sua solitaria determinazione, ha provocato un brivido di terrore nel corpo del dittatore? Non lo so.
Quello che penso oggi è che fa strano vedere che l'intera classe politica italiana si accomoda intorno a questa figura scomoda, che stava scomoda per conto suo, e che costringeva tutti a sentirsi scomodi, a disagio. Oggi pare che tutti si trovino perfettamente a proprio agio nelle celebrazioni ecumeniche di Matteotti. Perfino la Meloni e l'intera combriccola di post-fascisti al governo.
Io, per celebrare Matteotti, voglio mettermi un po' scomodo; voglio attirarmi magari qualcuna di quelle occhiatacce che gli Unanimi riservano ai guastafeste; voglio ricordare una cosa scomoda che stava facendo Matteotti quando è stato ammazzato, che era scomoda allora e secondo me un po' è scomoda anche ora. Tant'è che non l'ho sentita dire da nessuno.
Nel 1924, tra le sua varie attività civiche, tra politica e giornalismo, Giacomo Matteotti stava indagando sulla concessione data dal governo italiano alla Sinclair Oil per le trivellazioni e l'estrazione del petrolio in Italia. Pare che la concessione fosse straordinariamente, esageratamente, ingiustificatamente favorevole alla società petrolifera americana sostenuta dai più grossi gruppi finanziari newyorkesi – Rockfeller & Co – e straordinariamente sfavorevole allo Stato italiano. E questo favoritismo pare derivasse dal pagamento di tangenti al dittatore e ad alcuni gerarchi fascisti.
Nel 1947 la Corte d'Assise ha stabilito che Matteotti non è stato ucciso a causa della sua indagine (la motivazione, invero, è bizzarra: poiché il governo aveva un grande interesse a ucciderlo in quanto antifascista, non poteva volerlo uccidere per motivi d'altra natura, per esempio per impedirgli di svelare un colossale scandalo di corruzione e tangenti internazionali; il concetto di "due piccioni con una fava" non deve essere stato preso in considerazione dai magistrati).
Ma la questione, qui, non è tanto il motivo dell'assassinio: è certo che degli squadristi fascisti hanno agito, e che Mussolini ha rivendicato. Fine.
La questione – e torno alla scomodità, mia, vostra, loro – è che mentre Matteotti si preparava a sacrificare la vita per la verità, e per contrastare Mussolini e il Fascismo, c'erano lobby economiche americane che facevano disinvoltamente, opacamente e sudiciamente, affari con Mussolini e con il Fascismo, di fatto finanziandoli.
Cose analoghe, peraltro, sono accadute anche in seguito, con altri lobbisti, dittatori e regimi per protagonisti. E accade anche ora.

martedì 28 maggio 2024

Servizio di Tele2000 su "Logout"

 



Registrato in occasione della presentazione a Urbino, Palazzo Ducale, con Milena Scaramucci, organizzazione Libreria Montefeltro Libri.

lunedì 27 maggio 2024

Recensione di "Logout" di Luigi Balsamini per la rivista "Malamente"

Alcuni personaggi di "Logout" sarebbero orgogliosi della recensione che ha scritto Luigi Balsamini per la rivista "Malamente". Luigi è un editore e un intellettuale sensibile e raffinato quanto radicale; Malamente è un periodico – da cui sono nate anche le omonime Edizioni Malamente – dedicato al pensiero libertario, alle battaglie antiautoritarie e alla conoscenza dei territori. Non si può parlare per conto degli altri – neanche un autore per conto dei "suoi" personaggi – ma sono certo che il vecchio Geranio sarebbe entusiasta di queste parole...
Grazie. Viva la libertà.

https://rivista.edizionimalamente.it/2024/05/27/recensione-a-carlo-cuppini-logout-marcos-y-marcos-2024/


 «La libertà non è incoscienza. La libertà è dentro casa». Vi ricorda qualcosa?

Nella città di Sbafo, dove abita Luca – protagonista dodicenne di questo romanzo di Carlo Cuppini – non c’è nulla fuori posto. Anzi, non c’è proprio nulla fuori, perché i suoi abitanti non hanno né motivo né intenzione di uscire di casa. Troppe le insidie in agguato all’esterno. Le mura domestiche sono il Sesamo, che offre «serenità, salute, sicurezza, soluzioni», là fuori c’è il Baratro, costituito da «pericoli, incidenti, malattie, terroristi e imprevisti». E poi, dentro la casa ipertecnologica non manca davvero nulla. Le deserte strade di Sbafo, perfettamente allineate, sono percorse avanti e indietro da droni e furgoni robotici, che consegnano a domicilio tutto ciò di cui si può aver bisogno: la mega-azienda TuttoPer ha a cuore i suoi consumatori e può soddisfare in tempi rapidissimi qualsiasi necessità, basta un clic. Ancora: vi ricorda qualcosa?

Scorrendo le pagine di Logout tutto appare a prima vista così spiazzante, eppure è stato (è?, sarà?) realmente. Siamo passati in qualcosa di simile, non troppo tempo fa, anche se abbiamo la curiosa tendenza a scordarcelo.

La scuola di Luca, ad esempio, è sempre “didattica a distanza”. Anche se in Malsazia (lo stato di cui Sbafo è la capitale) non si chiama così ma è semplicemente la scuola tout court, perché essendo l’unica possibile modalità di didattica non ha più bisogno di ulteriori qualificazioni. È, insomma, la famigerata DAD che abbiamo conosciuto nel mondo reale, gestita dall’ente benefico Google, con i compagni di classe ridotti a quadratini incorniciati sullo schermo. Le materie in Malsazia, però, sono geniali: Statistica dei pericoli, Cautele per tutte le stagioni, Precetti generali di prevenzione.

Le attività sportive, manco a dirlo, si fanno da casa. Così come le gite sono viaggi in un altrove virtuale. Le fa Luca, con la sua famiglia, e le hanno disgraziatamente fatte molte classi scolastiche negli anni 2020 e 2021. Ci ricordiamo anche questo – vero? – anche se forse sarebbe più comodo rimuovere tale oscenità dalla memoria collettiva. Tra i principali promotori di quella nuova esperienza sensoriale si era distinta un’azienda con sede nella stessa città di origine dell’autore di Logout: la DIGIT srl di Urbino. Lo spin-off universitario non era nuovo allo sviluppo di soluzioni tecnologiche volte ad asservire la complessità umana alla fredda logica degli algoritmi (ce ne eravamo già occupati sulle pagine di questa Rivista parlando del loro progetto di credito sociale de noialtri: i WOM). La trovata gentilmente offerta alle scuole per organizzare gite in tutta sicurezza si chiamava CodyTrip e consisteva nel piazzare gli studenti davanti a un proiettore interattivo per simulare con loro ogni aspetto della giornata: dal viaggio in autobus, alla visita museale, al pernottamento in albergo. Non dimentichiamo, ma passiamo oltre.

Dicevamo del credito sociale: altra distopia contemporanea che Cuppini non manca di trasporre nel romanzo. È il Classifica Show, ovvero un giocoso sistema di disciplinamento che assegna o sottrae punti nella classifica della vita. Hai aiutato il tuo domobot a pulire le finestre? Più sette punti. Ti sei lavato male i denti? Meno tre punti. Fai acquisti in abbondanza scegliendo le merci giuste? Il tuo punteggio aumenta, guadagni reputazione e puoi scalare la classifica sociale. Alla fine dei conti, ci penserà l’Intelligenza artificiale ad assegnare a ciascuno il posto che merita nella società.

Nel mondo rovesciato non c’è bisogno di coercizione, non ci sono vigilanti che pattugliano le strade, perché tutto è stato introiettato così bene e così profondamente da aver azzerato anche l’immaginazione di possibili alternative e, pertanto, non resta che arrendersi felicemente allo stato di cose: difensori e vittime, allo stesso tempo, dell’organizzazione sociale.

Comfort potrebbe essere la parola chiave che caratterizza la popolazione di Sbafo, ma fuori dalla fiction è anche uno dei tratti peculiari della moderna umanità, perlomeno di quella del privilegio occidentale. Comodità, tranquillità ed esasperante sicurezza al prezzo della completa dipendenza dal macchinario e sia quel che sia se l’agio di pochi è insostenibile per il pianeta. Se il mondo di plastica e transistor della Malsazia può esistere e prosperare è perché ci sono schiere di lavoratori sottopagati (e anche qualcosa di peggio…) che ne reggono le fondamenta e c’è un altro paese, la Poverania, depredato di materie prime e forza lavoro. Intanto, nel mondo amministrato dalla tecnologia è sempre primavera, perfino fuor di metafora: in caso di maltempo le finestre-schermo della casa di Luca sostituiscono la visione non mediata dell’esterno con la sua riproduzione digitale ambientata in una bella giornata di sole.

La prima parte di Logout è questo incubo gentile, dove tutto è ordine e armonia. Il problema, l’incrinatura sulla superficie levigata, sono le scorie di umanità che si ostinano a minacciare la perfezione tecnica: «Io sono solo un essere umano» dice a un certo punto Luca, come a doversi scusare. Brandelli di umanità sono ancora presenti al di fuori di Sbafo, nel selvatico, là dove può capitare di imbattersi in «segni di vita vera», con il rischio di sbucciarsi le ginocchia. Per raggiungere questo residuo di mondo antico bisogna superare le alte mura del Quartiere Morto, che come il Muro Verde di Noi (Evgenij Zamjatin) divide il mondo della perfezione matematica dal regno dell’imprevisto, di qua il conformismo e la rassegnazione, di là il libero pensiero e la speranza.

La storia narrata in Logout rispecchia il nostro tempo di transizione. Sebbene l’innovazione tecnologica e digitale stia portando avanti a grande velocità una completa trasfigurazione del mondo e delle relazioni umane, la nostra generazione di mezzo conserva ancora il ricordo della vita analogica e ipotecnologica. Nel romanzo è un pallone da basket – ricordo del nonno ancora umano di Luca, quello strano tipo che acquistava cibo vero al mercato e non aveva l’erba sintetica sul prato di casa – a rappresentare il trait d’union tra i due mondi.

In ogni caso, dopo il coraggio di fare logout, di fronte a Luca si apre un mare di avventure, finalmente reali, che si susseguono per tutta la seconda parte del romanzo, dandogli ritmo, suspense e godibilità. Perché Logoutnon è per nulla un mattone distopico, ma una bella storia di ragazzi e d’amicizia, di scelte importanti e di una vita che va affrontata, anche a costo di rischiare qualcosa. Da leggere col fiato sospeso. Il finale è a sorpresa e non possiamo svelarlo, ma anticipiamo che è pieno di speranza. Aperto alla possibilità. Fa sorridere e riempie il cuore, che non guasta mai.

Logout è un libro per tutte le età – per ragazzi/e e per adulti – adatto a tutti e tutte. È una lettura simpatica, leggera, che però, a chi li vuol cogliere, offre senza forzature preziosi spunti per interrogarsi sul presente. Nello specifico, sollecita e fa risuonare le corde della nostra riflessione: è una buona lettura per noi che siamo contro il dominio della macchina e contro il sacro trasferito alla tecnica, noi che sappiamo che quel che nasce poi muore, noi che non crediamo che la natura sia fascista, che denunciamo il delirio di onnipotenza armato dai mezzi della tecnoscienza, che preferiamo il rischio nella libertà alla sicurezza nel controllo, per noi che – animali politici – stiamo dalla parte del vivente contro una confortevole artificializzazione che lo avvilisce e distrugge.

lunedì 20 maggio 2024

Per le api

…Nel boschetto Luca trovò i suoi vestiti stesi ad asciugare su una corda tirata tra due alberi. Intorno era tutto un ronzare di api che entravano e uscivano dalle cassette di legno. Era terrorizzato dagli insetti che pungono - “api” era uno dei nomi del Baratro che pronunciavano durante l’Enunciazione, come vespe, tafani, ragni, scorpioni - ed ebbe l’impulso di darsela a gambe. Adrika intuì la sua reazione e gli disse: “Non ti pungono se non hai paura.”
Luca fece uno sforzo enorme per restare calmo e dopo qualche minuto dovette riconoscere che era vero: le api gli volavano intorno senza fare minimamente caso a lui. Perfino mentre Adrika martellava le loro casette per rinforzarle quelle continuarono a occuparsi degli affari loro.
Luca scoprì che Caterina si guadagnava da vivere producendo miele e vendendolo nei mercati contadini ai margini di Sbafo. Li frequentavano i pochi che non vivevano nella capitale, per lo più ribelli o persone che avevano qualche problema con la giustizia, oppure disadattati, o folli…

Piccolo omaggio alle api, nella Giornata mondiale delle api. E a Caterina...
Da Logout, Marcos y Marcos, cap. 21 "Cosa significa uccidere".