blog di Carlo Cuppini

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domenica 26 agosto 2012

Viaggio in Viet Nam #11: immagini

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Viaggio in Vietnam #10: epilogo (con le parole di Oriana Fallaci)

<< Francois, che ne è di Nguyen Van Sam? >>
<< Credo che l'abbiano fucilato. >>
<< E gli altri parlano di andare sulla Luna. >>
<< Già. >>
<< E quaggiù cosa accade, Francois? >>
<< Nulla, non accade nulla. Non si fucila nessuno e non si va sulla Luna. C'è il sole e basta. >>

[...]

<< Hai detto farmaco? >>
<< Sì. E un centimetro cubo, o un millimetro cubo, basta a immunizzarti per tutta la vita. >>
<< Immunizzarti da cosa? >>
<< Dalla rivoluzione, dalla disubbidienza, perfino dallo scontento, dal coraggio. Da cosa vuoi che immunizzi? >>
<< E chi lo somministra? >>
<< L'ambasciata americana, la CIA, i sindacati, i governi, la Chiesa. Dipende. >>
[...]
<< Ma che roba è, Francois? >>
<< E' un prodotto molto complesso e allo stesso tempo molto semplice. Perché è composto di tante sostanze e di nessuna: felicità, salute, democrazia, sindacati, sesso, televisione, kleenex, jazz, dentifricio anticarie, fiori di plastica, Holiday Inn motels, la Luna. Ci sbarcheranno e ci faranno dimenticare tutti i Mosé, tutti i Nguyen Van Sam. >>
[...]
<< E' un'iniezione che buca un po' tutti, Francois. >>
<< Chi lo nega? Quasi tutti. Fuorché il piccolo popolo di un piccolo paese chiamato Vietnam. Ricordi cosa ti dissi quando lasciasti Saigon con i tuoi dubbi? >>
<< E' il solo popolo al mondo, dicesti, che oggi si batte per la libertà. >>
<< E per la dignità dei propri figli. Ecco perché non puoi non amarli. >>

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Il dialogo, che si svolge tra Oriana Fallaci e Francois Pelou, direttore dell'Agence France Presse a Saigon, chiude il primo libro di O.F. sul Vietnam, Niente e così sia. L'ho letto soltanto ora, tornato in Italia, ma mi ha fatto capire quello che è forse il motivo più profondo per cui sono voluto andare in Vietnam. Anche se sono passati tanti anni da quel dialogo e dall'uscita di quel libro. Ma qualcosa, laggiù, è rimasto. Le persone che oggi hanno più si sessant'anni sono le stesse che allora hanno combattuto. Tutti gli altri sono i loro figli, o nipoti. Quelli per la dignità dei quali due milioni di persone si sono fatte massacrare dagli americani e dai loro alleati. Anche il generale Vo Nguyen Giap è rimasto. L'uomo che per trent'anni ha diretto le operazioni militari contro gli invasori – i francesi prima e poi il governo fantoccio del Sud e infine gli americani – ieri  ha compiuto 101 anni. Dal letto dell'ospedale militare dove soggiorna, ancora oggi manda messaggi ai giovani vietnamiti e severi ammonimenti al governo, quando questo si mostra troppo accondiscendente verso le pretese delle multinazionali straniere e le logiche del profitto che ledono la dignità di un popolo.

sabato 25 agosto 2012

Viaggio in Viet Nam #9: Hanoi, ultima tappa

Hanoi, "grande dama d'Oriente", capitale di un paese per millenni travagliato e invaso, che da soli  40 anni conosce la pace, Hanoi, città imperiale vecchia di 1002 anni, il cui nome originario, Tang Long, significa "drago che si leva in volo", Hanoi, che si leva in volo con levità sopra il caos tutto asiatico di motorini e clacson e gente affaccendata, caos eterno, immutabile, e dove andrà tutta questa gente sempre sul motorino, a tutte le ore, caos che si snoda in ogni strada antica, caos che non è caos perché è organizzato tra i bonsai onnipresenti e l'incessante lavorio anarchico, ma perfettamente sincronizzato, della popolazione, Hanoi, città comunista eppure premoderna, un villaggio antico con 3 milioni di abitanti, quasi senza la presenza del cemento, senza palazzoni e cose squallide, niente che ricordi il mondo sovietico, solo casette basse, due o tre piani, fitte fitte, affastellate con una casualità sorprendentemente armonica come è l'urbanistica medioevale italiana, e molti edifici coloniali, liberty, tutto un accrocchio creativo di stili, strati, stupori, palazzine strettissime, lunghe e alte secondo lo stile nazionale (perché le tasse sulla casa si pagavano in base alla larghezza della facciata), Hanoi, piena di laghi, di alberi tropicali, di parchi, di aiuole e isole spartitraffico curate come fossero il giardino di Boboli, Hanoi, piena di leggende che raccontano il significato mitico di ogni suo luogo, di ogni scorcio, e pagode e templi che ratificano queste leggende, ne fanno oggetti di culto popolare e attuale, come la tartaruga gigante che dopo la fondazione, nel 1010, emerse dal lago proprio nel cuore della città e riprese la spada che era stata consegnata al re dagli dei per scacciare i cinesi dal Vietnam, o come il magico cavallo bianco che apparve al suo successore per mostrargli il luogo dove costruire robuste mura di cinta, o come le due sorelle Trung, che quasi 2000 anni fa riunirono il popolo vietnamita intorno al loro carisma e riuscirono a scacciare i sempre invadenti cinesi, salvo poi suicidarsi 10 anni dopo per non cadere prigioniere dei cinesi che di nuovo avanzavano, e tartaruga gigante, cavallo bianco, sorelle Trung, ogni cosa ha il suo luogo di culto in città, vicino a un lago o a un fiume o a un corso d'acqua, e tutti è oggetto di venerazione, e davanti a ogni altare la gente porta stupendi fiori, vassoi di frutta, incensi, ma anche pile di lattine di birra, pacchi di sigarette, e il cavallo bianco, a giudicare da queste apparenze, è il più grande estimatore di birra "Saigon" di Hanoi, con le due piramidi di lattine che si ergevano davanti alla statua che lo rappresenta, per non parlare della tartaruga gigante, che esisteva davvero e ha lasciato nello stesso laghetto la sua discendenza smisurata, bestie lunghe più di 2 metri che misteriosamente sopravvivono nel cuore di una grande metropoli, per il sommo stupore di biologi e zoologi, e ne abbiamo visto un esemplare trovato morto e impagliato nel 1968, in tempo di guerra, accanto a fotografie che testimoniano di avvistamenti molto più recenti di esemplari altrettanti imponenti...

sabato 11 agosto 2012

Viaggio in Viet Nam #8: Na Trang e Hoi An

Da Tra Vinh a Saigon in bus (5 ore), il tempo di cenare e pisciare e quindi subito un altro bus per un viaggio notturno per Na Trang, a nord, tappa necessaria per spezzare il lungo viaggio verso Hoi An, nostra prossima meta. Sempre sleeping bus, dove si sta sdraiati in sedili recinabili competamente, disposti su tre file con due corridoi in mezzo, su doppio livello. Il primo bus non è male. Il secondo così così, ma dormire è praticamente impossibile. Non tanto per via del bus, quanto per la strada, e la guida: pur andando a una lentezza estenuante sembra di procedere su un campo sterrato. Buche e cesure nell`asfalto diventano sobbalzi e scossoni inspportabili per la sgangherate sospensioni del bus, e per le nostre schiene. Ogni volta che ci riusciamo ad addormentare un contraccolpo ci fa sgranare gli occhi. Inoltre velocità e frenate, clacson sempre e comunque, il motore che sembra quello di un tir.

Insomma, a Na Trang arriviamo distrutti, e ci buttiamo in spiaggia. La guida la descrive come la città balneare più cool del Viet Nam, quindi siamo pronti a sopportare una specie di Rimini o Viareggio asiatica, piena certamente di italiani. Invece la spiaggia è praticamente deserta, ci sono dieci "ombrelloni" di foglie di palma liberi e una donna con cappello a cono, completamente vestita, con mascherina davanti alla faccia e guanti di lana, che sembra fare la bagnina. Le diciamo che vogliamo prendere un ombrellone con sdraio. Ci dice: ok, 80.000 dong. Tre euro. Tutto il giorno. Restiamo praticamente soli lì, a goderci il mare tropicale e le palme, a soffrire un caldo umido mostruoso, combattendolo con frequenti immersioni in acqua.

martedì 7 agosto 2012

Viaggio in Viet Nam #7: Saigon e Tra Vinh

Saigon. Una citta` di sette milioni di abitanti. E dopo tre giorni ci sembra di starci da un anno, di conoscere ogni suo anfratto e angolino, di avere familiarizzato con ogni vicoletto, con ogni geco, ogni venditore che gira per le strade. Come mai? Questa citta` ha un`anima, una voce, un profumo. Ogni 5 metri cambia tutto, ma tutto e` sempre Saigon. Saigon, l`omogeneita` della discontinuita`. Saigon, parchi meravigliosi pieni di bonsai curatissimi, e topi che corrono tra i banchi del mercato. Carretti che vendono seppie grigliate per strada e alberghi lussuosi. Bottigliette di liquore con dentro grossi scorpioni e teste di serpente (cura l`impotenza e ogni altro male). Giovani che fanno tai-chi e vecchie che fanno fitness nei giardini pubblici. Ruderi di aerei americani abbattuti esposti qua e la` e scoiattoli volanti che si lanciano sopra la testa dei passanti accanto all`ex palazzo presidenziale. Manifesti di Ho Chi Min e statue di vietcong con i tipici sandali e cappello. Un ristorantino gestito da bambini strappati alla strada da un brav`uomo e un centro di massaggi tradizionali dove gli operatori sono non vedenti. Ovunque cappelli a cono, venditori di ogni cosa con biciclette assemblate nei modi piu` improbabili, carretti, riscio`, che si spostano di strada in strada. Pochi turisti. Pochissimi occidentali. Al mercato le ragazze cercano di rifilarti un vestito, un aggeggio, qualcosa, ma desistono al primo segno di diniego senza insistere, e senza smettere di sorridere. Se poi rispondi con una o due parole in vietnamita, *no, grazie, arrivederci* sembrano ancora piu` contenti che se tui avessero venduto un kimono di seta (a 15 euro). Saigon ci ha conquistati da subito. A Saigon abbiamo rinunciato al tour di tutte le attrazioni per dilungarci e perdere tempo nei vicoli, nelle strade, nei parchi, nel lungo fiume, osservando la gente, scambiando sorrisi e qualche parola. A Saigon niente e` andato storto. Nessuno ha cercato di fregarci, derubarci, sfotterci. Abbiamo camminato a notte fonda nei quartieri centrali, piu` sgangherati e bohemien, senza percepire alcun rischio. Nessuno ha cercato di gonfiare i prezzi e nessuno ci gha chiesto soldi per strada. A Saigon e` andato tutto liscio. Saigon, anzi Ho Chi Min City, come e` stata ribattezzata nel 1975, dopo la caduta del Vietnam del Sud, filoamericano, e l`unificazione del paese. Pero` tutti la chiamano ancora Saigon, e qui un viaggiatore il comunismo non lo percepisce proprio. Vitalita` e creativita` di giorno e di notte, ognuno sembra imprenditore di se stesso, con il proprio lavoro inventato. Qualche poveraccio che raccatta la roba dai bidoni o si butta nel fiume melmoso per raccattare una lattina vuota (che se ne fara`?). Qualche mendicante. Ma il comunismo cosa fa?