blog di Carlo Cuppini

blog di Carlo Cuppini



giovedì 31 marzo 2011

Fior di labbra

Se una parola sussurrata a fior di labbra, con la faccia che riluce in un sorriso, può sovrastare il frastuono del traffico nell'ora di punta – ridicolizzarlo come Davide Golia – allora la poesia esiste. Ed esistiamo noi.
Buon compleanno a me.
Buon non-compleanno a tutti voi.

mercoledì 30 marzo 2011

Fossile

Fossile di un appartamento-buco nero, è la poesia. Fossile, ciò che resta. Ciò che resta alla fine di un appartarsi, un appartarsi dal tempo, un farsi a parte, ma anche prendere parte, scegliere la parte, appartenere ma stare appartati. Appartarsi dal tempo, perché il luogo è quello in cui il tempo si ferma. Buco nero, punto-stanza dove l'energia gravitazionale – il desiderio – raggiunge livelli altissimi. Tanto da attrarre in sé 'tutto'. Tutto da ogni dove. Dal dentro e dal fuori, senza gerarchie e senza precedente. L'origine del buco nero è una parola, una visione, una notizia di cronaca, un lapsus. Il fossile di appartamento-buco nero è tutto impegnato nel gettare 'al di là' della struttura logica di questo universo delle cose, che riappariranno dall'altra parte, dove noi non potremo mai guardare. Ma che sappiamo che forse qualcuno vedrà. Come il sopra dei capitelli a 30 metri di altezza, che l'artefice medievale rifiniva a dovere, essendo che di certo li vedeva dio. In questa corsa a sparire, lasciando incisioni di scie e forze solidificate nel passaggio, non c'è modo di voler significare. Si significa accidentalmente, come un fossile assomiglia a una galassia a prescindere dalle sue intenzioni. Siamo qui per questo, per fare qualcosa, significando altro. Altro che in noi, altro che è in ciò che facciamo, altro che ci guarda dal riflesso dei nostri occhi, ci chiama e ci illumina, enigmaticamente.

domenica 27 marzo 2011

Polvere e sale

ciò che di noi va in frantumi
torna polvere e sale tra le 
crepe del davanzale che è scampato 
al colpo al cuore di notte


vengono all'alba i messaggeri a fare incetta
il corvo dal mondo dei morti dal centro 
del vulcano il fringuello l'upupa 
dal cuore nero del sole


nostro disgregarsi quotidiano
cibo per i morti - devozione - 
punti neri stipati dietro il quadro


morti nutrire l'assenza che 
ci è data ci precede ci 
accompagna e - 
nonostante 
l'ardore - ci segue

sabato 26 marzo 2011

Democrazia

l'impronta etrusca sulla fronte ci permette
di frugare con profitto tra le viscere
di questi corpi di profughi rigettati dal mare
come delfini centrati da un siluro nucleare:
ci bastano guanti di lattice da farmacista
e un vago atteggiamento da sciamano
per trarre auspici attendibili sul secolo
da quanto resta dentro il buio di umani resti


gli oligarchi dispensano pornografia
gli oligarchi fanno di noi pornografia
gli schiavi sono stati saziati
gli schiavi si dichiarano soddisfatti
i figli del lavoro hanno le ore contate
figli aziendali raccolgono le figurine


aquile in cielo aperto - con effetti speciali -
si vergognano a rincasare la sera
non sanno come raccontare ai familiari
del proprio funerale che hanno scorto dall'alto

venerdì 25 marzo 2011

il giorno

il giorno avvampa come un foglio
bianco e cieco dove noi
siamo stati scritti
per sbaglio –
locuste
no
non devono arrivare a colmare
il vuoto che lasciamo noi
nel venire al mondo
nel farci presenti
nell'incarnarci
in sogni –

in retaggi di sogni intollerati
ossidati litigiosi ribelli 
disperati bruciati
belli




(leggendo Mandel'stam, nemico-amante-vittima del "secolo-canelupo")

Spazio, corpo, azione e gesto

La poesia è spazio e corpo, azione e gesto. E' spazio del corpo e nel corpo. E' lo spazio di accadimenti fisici, un ring per lo scontro di energie. I poeti sono quelli che sono stati (o hanno rischiati concretamente di essere) battuti, arrestati, uccisi, per la loro poiesis. In Italia, pochi, con il predominio del canone della poesia-lamento-dell'io. La poesia non è dedicata all'io e non esprime l'io, se non come il pugile dedica a se se stesso lo scontro, e attraverso di esso esprime se stesso. La poesia non è discorso dell'io, ma è scuotimento, divincolamento del /dal linguaggio. La poesia avviene nel linguaggio, soltanto se intendiamo il linguaggio come una propaggine incuneata a sangue nella realtà.
La poesia è il prodotto invisibile di uno scontro di energie, così come dio è il prodotto invisibile della preghiera.
La poesia non vuole comunicare alcunché; lo fa, ma lo fa nello stesso modo in cui, di nuovo, il lottatore comunica qualcosa mentre combatte. Secondariamente e accidentalmente, di certo; e di certo il lottatore considererebbe oziosa una considerazione sul suo stile, mentre lotta: pensa a salvarsi, a uscirne con le ossa meno rotte possibile, così a poesia. Pensa a sgravarsi di se stessa, a rimettersi al mondo, e a rimettere al mondo il mondo, con uno sprint sportivo non avulso da estasi e dolore, un parto di sé attraverso l'utero e il vuoto.
La tentazione di parlare è in agguato dietro ogni angolo dell'ispirazione e del desiderio. Ma ogni cosa che intenzionalmente diciamo ci allontana da quella voglia smisurata, incontrollabile, illegale, che apre l'accesso alla poesia. Combattere animosamente contro l'inerzia che spinge a volere dire. Per voler dire, è sufficiente il dire, e un io. Per la poesia ci vuole il ring, l'infestazione, le botte, il sudore, il fiatone, la paura, la brama, stare sul bordo del limite tra gioco e tragedia.
Non è per forza la boxe, il paradigma ideale. Ogni forma di lotta ha idonea: le arti marziali orientali, la scherma, la capoera, i combattimenti rituali dei cervi. Nello spazio/tempo rituale si scontrano energie che, fuori da quel recinto, devasterebbero. Qui si gioca la partita, e non c'è mediazione, o compromesso, o rassicurazione. Non si muore, è vero, a meno che non si viva sotto una feroce dittatura - in Giordania oggi un poeta di venticinque anni è in galera perché ha scritto versi ispirati al Corano che virano verso allusioni erotiche - ma ci si può rompere il naso. E' necessario che questa possibilità sussista.
Stasera, da parte mia, leggo i versi di Mandel'stam.

giovedì 24 marzo 2011

Chiodi, lettere

Chiodi conficcati nella nostra carne viva, le ventuno lettere a cui affidiamo il compito impossibile di risarcirci dalla privazione essenziale – quella che ci ha sottratti dal continuum universale ed eterno dell’esperienza vitale, quando siamo all’improvviso diventati qualcosa, tra altre cose, che necessitavano un nome, reclamavano una singolarità, condannavano noi alla singolarità, alla separazione, al dover scegliere un posto, un punto di vista, una posizione, tra tutti questi confini improvvisamente proliferati.
Segni di una cicatrice mai seccata, questi segni che consultiamo sul corpo più che nei libri; marchio fissato a fuoco sulla pelle, con la violenza del sacro, apparentemente piegato alle istanze di chiarimento e quantificazione del quotidiano.
Questi punti cuciti col filo nero su tutto il nostro corpo non ci permetteranno di scambiare un solo frammento del nostro privato mistero con alcun altro essere umano, né con dio; ma grazie ad essi risuona in noi la credenza che qualcosa di sapienziale, e perfino oracolare, nella vita, da qualche parte, si celi – ancora, o forse più che che mai.
Tirarli, quei punti, grattarli, lacerando lembi di carne; farla infiammare questa cicatrice, stuzzicare la ferita fino a farla di nuovo arrossare e far schizzare il vettore del dolore fino al centro del cervello. Non ci sono coordinate per fare qualcosa nel modo giusto; il canone è la benda sugli occhi; la letteratura è il mausoleo dell’alfabeto.

domenica 20 marzo 2011

Ventre della balena





dal ventre della madre a quello
della balena il passo è stato breve
il tempo sincopato di un singulto

qui stiamo e sgomitiamo
finestrini non ce ne sono pertanto
guardiamo la volta celeste
la coltre di pleura e gli alveoli 
del cetaceo che è a noi cielo

la balena è spiaggiata in riviera
la balena va rapida sull'acqua
la balena sta implodendo in fondo al mare
la balena è stata lanciata nello spazio

noi siamo ventre e balena
siamo il suo cibo il suo cancro il
suo letame i suoi calcoli 
renali gli amminoacidi i batteri e la 
sua storica indigestione – il 
movimento intestinale

la balena è casa e mondo e madre e 
morte – è cielo e dio e dio 
è tutto – è mitra 
che spara è di noi l'intorno e 
l'interiore è la prima 
pagina del giornale la ghiandola 
mammaria il bambino stuprato
i fiori sul tetto lo stomaco 
a pezzi la stretta di mano i rifiuti 
illegali il nucleo che esplode il neon 
sul grattacielo la brezza 
lieve sull'ecatombe – dio è ancora la balena 
che ci contiene e la cecità del folle 
cetaceo i suoi succhi 
gastrici che digeriscono 
poco a poco a noi occhi e
sinapsi – dio è le 
contrazioni dell'utero nero è 
le doglie dell'animale che 
ci vorrebbe espellere partorire
fare fuori come 
sforzo di preghiera le mani
non sappiamo per dove

giovedì 17 marzo 2011

Sogno di Mameli (Mameli remix)

fratelli e sorelle italiani erano comparsi
in Italia nel declino dell'epoca del casco
e Victoria baby, che ha rifiutato di concedersi
al dio, in curva allo stadio, con gli schiavi romani di sinistra

abbiamo raccolto una morte d'accelerazione
di un grande numero, in Italia! – coi reattori
grande montaggio spettacolare attendente
un certo numero di morti che organizzano
i viaggi all'estero, in Italia! Sharm-el-Sheik è in Italia!

andare ad un altro è arrivare così avanti:
la gente è loving: è la comunicazione, today!
nella divisione dello sviluppo della libertà
del cittadino, in due distinte libertà
la gente è loving, d'Italia!

nel riempimento di due metri di terra
nell'invasione attuale, la riunione di tantissimi
ad orientamento di stili a più cubi, comunque morti, 
siamo l'Italia dell'Italia, in Italia! –

ma lo spirito dei tempi con gli avvertimenti 
dei fuochi sceglie un sole di preghiera –
scioglie il nucleo dell'atomo – avanti
il prossimo – tuo non proprio come te stesso
che fa boom – l'Italia!




(testo redatto con l'aiuto di traduttori automatici on-line, passando attraverso inglese, francese, tedesco, spagnolo, arabo, cinese, giapponese, russo, per tornare all'italiano)

martedì 8 marzo 2011

Poi

Poi l'angelo affonda il muso nel pasto. Non lo solleva finché niente di umano è restato, in quella forma scomposta.

domenica 6 marzo 2011

aranciata

se l'arancia trasuda violenza
non puoi farne a meno: la trafiggi
con la punta del coltello nero
mentre ti esplode in mezzo allo stomaco
un proiettile a frammentazione
avanzato dall'ultima guerra
ancora in corso da qualche parte
poi s'apre l'anta della dispensa
tra i biscotti fanno capolino
migliaia di profughi libici
ti vengono incontro 
sorridenti
pieni di fiori ballando 
il samba ti riempiono gli occhi 
la cucina