blog di Carlo Cuppini

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giovedì 28 luglio 2011

Poesia è Jan Palach

Poesia è Jan Palach che si ferma un attimo prima di compiere il suo gesto finale, come presentendo grazie alla veggenza del poeta le parole che gli rivolgerà, troppo tardi, Bohumil Hrabal; poesia è quel ragazzo che,  ascoltando le parole dello scrittore, decide di non far scattare qull'accendino.

Ma è vero anche che la poesia, oggi, è possibile perché Jan Palach si è ucciso in un rogo.

“... un giovane studente, che mentre moriva in un rogo era quello che era. Io, se in quel momento fossi stato con lui, io lo avrei pregato in ginocchio di ardere, ma in un altro modo, di ardere con la parola, che avrebbe potuto farsi corpo, che avrebbe aiutato chi ancora non arde e chi arde, semmai, con lo spirito e nello spirito.” (B. Hrabal, Il flauto magico)

martedì 26 luglio 2011

Poesia e disarmo

Poesia è disarmo, spogliare l'intelligenza dagli orpelli militari della ragione (che è sempre ragione di stato) e in tal modo, denudati, radicalmente umani, sfiorando il limite della specie, stare nella mischia, porre il petto davanti alla bocca del carro armato. Nel disarmo del pensiero argomentante, in mezzo al disastro, abitare tutta l'estensione del linguaggio, articolando per intero l'umano, assumendosi in pieno il rischio dell'insensato, auspicando il senso e la grazia. Discendendo, frenando, perché la gioia è in fondo al reale, ed è lenta, quasi ferma. Contrariamente alla sopraffazione, che è vorticosa, sempre in sincronia con i tempi.

Due terzine

in mancanza di ulteriori informazioni
al riparo da sguardi indiscreti
emettiamo urla inarticolate


dopo un boccone di vetri
seppure arso vivo
ancora non avvampo

mercoledì 20 luglio 2011

Per Carlo Giuliani, e gli altri, 10 anni dopo

Oggi non riesco a ricordare dove fossi cosa stessi facendo il 20 luglio di dieci anni fa; che cosa di tanto importante mi impedisse di essere là, dove tutti sarebbero dovuti essere, dove molti stavano, dove uno è stato ammazzato. Tra dieci anni di certo non ricorderò che cosa sto facendo in questo momento, e che cosa di tanto importante mi stia trattenendo dall'andare là dove tutti dovrebbero andare, a denunciare con l'integrale presenza del corpo il persistere e il proliferare e di nuovo l'imporsi dell'intollerabile nelle le nostre vite, finché le cose non siano cambiate.

martedì 19 luglio 2011

Fare poesia / 2

Antinomia:

Fare poesia è compiere un viaggio nella realtà attraverso il linguaggio. Il viaggio si controlla in parte: si incontra necessariamente l'elemento - preponderante - dell'imprevisto, dell'estraneità, dell'inconciliabile, dell'irriducibile a sé. Si padroneggia il linguaggio, inteso come cosa viva, solo a costo di cavalcarlo in movimento; non si controlla il panorama che viene incontro, né la qualità del terreno su cui ci si muove, né la temperatura dell'aria, il suo impatto sulla faccia.

Ma anche: fare poesia è invitare il linguaggio a compiere un viaggio all'interno di sé, essendo il sé paesaggio. Si può mantenere il controllo delle aperture nel proprio corpo/vaso, modulando il flusso del linguaggio in entrata attraverso di esse; ma non si può controllare il suo andirivieni, le razzie che compie, il suo annidarsi e proliferare nei recessi interiori.

Il poeta è il soggetto, la realtà è paesaggio.
Ma anche: il linguaggio è il soggetto, il poeta è paesaggio.
Ma anche: il poeta nella realtà è il soggetto, il linguaggio è paesaggio.

Nel fare, c'è uno sconquassamento, a cui non si può dire altro che: benvenga.
Impossibile mettere la poesia al servizio delle intenzioni, del pensiero argomentante, dell'opinione, della descrizione o dell'espressione sentimentale. La poesia non serve a fare discorsi.

E tuttavia la poesia serve a metterci contro il potere, a farci resistere, a farci ammazzare, eventualmente, se questo può servire a farci sopravvivere. Non per via di quello che dice la poesia, ma a causa di quello che è il fare poesia.

Il fare poesia non appartiene al poeta più di quanto il viaggio appartenga al viaggiatore.

In ogni caso avviene tutto sul cornicione, sporti fuori da sé, in un luogo di confine esterno a sé, dove non vigono le consuetudini, perché "mi conosco per quanto mi sono messo alla prova" (W. Szymborska)

mercoledì 13 luglio 2011

Filastrocca sul Patrimonio (con rime sciocche)

I resti del padre
nelle mie braghe
nel cassetto dell'intimo le budella
piene ancora di bolo e merda
friggo tutto in padella
indigestione garantita
tracotanza di bile d.o.c.
settemila anni fa 
fioriva la civiltà
tra settemila anni
smaltite le ultime scorie 
radioattive un mondo nuovo risorgerà
a partire dalle olive scampate
marinate proprio ieri dalla zia
poi chiuse nel barattolo e stipate nel bunker
di Gheddafi o di Emilio Fede
al giorno d'oggi al contrario
il paria idolatra la patria
e tu hai la patta aperta, poeta
lei è partita per un parto gemellare
la marmellata non è bastata alla progenie
troppa gente nei vuoti delle cose
né le fette di pane
ci spartimmo le briciole di uranio impoverito
vero patrimonio dell'umanità
meraviglia di un mondo senza madre
né padre
come qui quo e qua




(scritta prima, durante e dopo l'incontro "Patrimonio" a cura di Image, in "Pensare spazi contemporanei", Firenze)

Fare poesia

Fare poesia è molte cose insieme.
E' immergersi volando nel sottosuolo, come uno sciamano aquila-serpente, piombando nel regno dei morti, i quali detengono il segreto dei significati e del valore di tutte le cose; per ingaggiare con essi un combattimento amorevole, e cercare di riemergerne vivi, scorticati, rischiarati.
E' disporre su un piano orizzontale, su una tavola spoglia, concetti, figure, frammenti, proposizioni, scaglie linguistiche, forme, ritmi, riti, frantumi dell'essere che cogliamo dentro e fuori di noi; è una disposizione che avviene secondo un realismo primitivo, dove tutto convive spazialmente con tutto, e la raffigurazione verbografica è inscindibile dalla forma del concetto della cosa, e dalla sua evocazione magica; senza le gerarchie e senza il criterio di prospettico-illusionistico proprio dell'epoca che inizia con il Rinascimento.
E' articolare l'essere attraverso l'espansione infinita (fino ai limiti del finito) del linguaggio. Articolarlo, non esprimerlo. Lo diceva Antonio Porta, e vale tutt'ora.
E' abitare la polis, tenendo conto di tutti i fantasmi che la abitano e la agitano e che ci sono concittadini, anche se non votano.
E' mettere in discussione il finto naturalismo del linguaggio corrente – orientato verso di noi dalle strutture di potere che sono dislocate ovunque come mine antiuomo in un prato – che ci dice che c'è uno e un solo modo sensato di dire una cosa; per dimostrare invece che non c'è modo alcuno di dire realmente qualcosa: se non interpretando, uno per uno, volta per volta, l'essere al mondo; ignorando del tutto le istruzioni del potere e la soggezione che esso richiede in cambio dell'illusione della comunicazione permanente.
Per quest'ultima ragione, fare poesia significa predisporsi a farsi ammazzare dai funzionari della conservazione; contando però sul fatto, al contempo, che si può concretamente lottare, attraverso la poesia, contro la probabilità di venire ammazzati.

sabato 9 luglio 2011

appunti sul concetto di patrimonio #5

Non ci resta niente
oltre a un rigagnolo di parole
che sgorga ci attraversa e modifica
e se taciuto ci abbaglia
senza poterlo rivendicare
la novità non si àncora ancora
torniamo a essere rimasticati
risospinti nel sacco gastrointestinale
quando arriva la fame rimasticati
dai gatti ciechi del quartiere
che cantano sinfonie di detriti
i denti marci di macerie
chi di noi è restato e resiste
è soltanto la carie

appunti sul concetto di patrimonio #4

il linguaggio si parla da solo
nessuno che ascolta
le sale disertate /l'erezione che sale /
"voi siete il sale della terra /la luce del mondo"
alla luce del mondo
osserviamo gli oggetti granitici sparsi per casa 
dopo il trasloco
nessuno ricorda di averli portati
siamo attaccati dai denti del topo
e ci mangiamo l'un l'altro
nelle pause tra lo spostamento dei mobili
apriamo in vitro conti correnti
correnti d'aria malsana
sbarriamo le finestre le zanzariere
all'avvicinarsi della tempesta di sale
fosforescente fungo atomico stagliato 
contro il tramonto fotografiamo 
col cellulare salviamo 
dalla catastrofe gli edifici dipinti sulle facciate
restauriamo le impalcature i tubi innocenti
facciamo il museo delle impalcature innocenti del novecento
animali modificati ci estinguono
al nostro passaggio in automobile
ci abbaglia l'eredità che non lasciamo
i topi fanno guerre fratricide
non si salva nessuno
i topi si contendono le nostre spoglie
quando arriva la fame smembreremo
il matrimonio mondiale dell'umanità
ci litighiamo l'unesco
facciamo sparire anche l'onu
plotino il pensiero astratto
l'uno

Appunti sul concetto di patrimonio #3

non è una dialettica armonica
scongiurare il silenzio degli oggetti
lui mangia sabbia antinomica
biglie nere dentro lo stomaco
mentre comprende la complessità
con forme di resistenza ai linguaggi
senza mescolare le acque
si è votato all'isolamento
con integratori alimentari alla diossina
in sostituzione di una dieta variata
ringhia il cellulare
il medium evoca i morti
il medium è il messaggio
il messaggero è morto per strada
con il cazzo ancora nella mano
lui ha divorato il falco reale 
imbottito di tritolo mentale
"la poesia viene con le rondini"
grida la nipote del ministro
"che cacano fosforo bianco"
aggiunge il manovale 
"sulle distese di morti per strada"
disseminare se stessi le ossa
sotto le croste d'asfalto
attraverso minuscoli fori 
da praticare con appositi cucchiaini 
trovarle ricomposte domani
ricomposte domani

Appunti sul concetto di patrimonio #2

passato il casello di prato est
fermare la macchina
scendi scavalca il guardrail
coi piedi nell'erba
ti trovi al centro di una stanza vuota
senza finestre senza il fuori
il giaguaro è steso al centro sul tappeto
negli occhi il binomio di storia e riparo
progettare il ciclo della crisi
niente di ciò che maneggiamo ci appartiene
amplesso soffocato tra il padre e la madre
nella stanza adiacente che non c'è
sotto la luce del neon
il dentista opera il giaguaro 
volto umano d'antenato sotto le fauci
dalle crepe nelle piastrelle
sale la schiuma del mare
biancastra di detersivo dissonante
un solo sguardo non rifletterebbe
salvo naufragare in questo istante
schiacciando le mosche sui punti di vista
appiattiti
uno sguardo non allineato
allenato

giovedì 7 luglio 2011

Appunti sul concetto di patrimonio #1

reduce
consumato il tradimento mondiale
pago il conto con soldi bucati
dove è scoppiata la bomba
guardo nel buco del cuore
cose senza valore senza prezzo
cose fuori catalogo che non posso ordinare
oltre il buco sporgendosi il corpo
teso nel gesto sembra sapere 
esattamente quello che fa
dall'altra parte ritrovo
le cose sacre di sempre
che non mi appartengono
a cui non appartengo
parola–pietra acquosa che rotola
nell'incavo della presente assenza
ma tutto intorno al respiro
il verbo si fa membrana
trattenuto riluce
mi riduce al silenzio
ingoiando il segreto

mercoledì 6 luglio 2011

Metrica

La poesia non serve a fare discorsi
i discorsi si fanno da sé
la poesia serve a farsi ammazzare
come se sei una giornalista russa
e l'amico basso del nostro proprietario
ti fa trovare in giardino un sicario
e se non serve a farsi ammazzare
allora la poesia non serve a niente


Tra parentesi questa
non è una poesia: è un discorso
anche se ha endecasillabi e va a capo
che c'entra? la metrica è un tic
come il mitra

martedì 5 luglio 2011

Parole

Preghiera tempo attesa
parole impronunciabili –
    le pronunciamo

La canzone del suicidio prorogato

Organizzare su facebook
un suicidio collettivo
il tale giorno in tale luogo
tutti con la stessa modalità:
un progetto per persone sensibili e affini
novelle affinità elettive
spiriti votati a sparire.


Al dunque siamo una trentina
tutti molto convinti ma sul più bello
la biondina coi brufoli fa le storie.


"Allora ci stai o no? aspettiamo te"
"sì, ma prima però devo postare
le foto su facebook"
"che foto" "le foto del suicidio"
"ma come fai a postare le foto del suicidio
prima di esserti suicidata, scema"
"e allora che mi suicidio a fare,
secondo te, coglione"
"testa di cazzo ti sputtano su facebook"
"non sai quanto ti sputtano io:
ti sputtano a sangue rotto in culo di merda"
"troia puttana"
"stronzo, scopiamo"

lunedì 4 luglio 2011

Anticatastrofe

C'è un clima strano
si sciolgono le persiane
si formano montagne di ghiaccio per strada
la bomba atomica implode
il suo fungo è risucchiato in provetta
il terremoto restaura le macerie
proiettili ringambano dentro i fucili


Per quello che riguarda noi
noi diamo l'acqua alle piante sul davanzale
e l'acqua dalla brocca cade in cielo
le piante escono dal vaso e cadono in cielo
pezzi di terriccio s'attaccano alla faccia
vaso e sottovaso cadono in cielo
sentiamo vacillare l'ancoraggio dei piedi


Chiudere la finestra per precauzione
bisogna osservare tutto quello che accade
zanzare cadono uccelli cadono in cielo
la terra precipita in basso
qualcosa di interno ai nostri involucri sacri
sarà però preservato
continuerà a dialogare

domenica 3 luglio 2011

Architettura / happening


Una stanza bianca
con dentro l'ordigno inesploso
nel corpo della bomba
nel bossolo della tragedia
è incubato il pulcino
nato cieco si farà grande
con occhi aguzzi di rettile

Il poeta appeso alla parete
grosso chiodo ficcato nella schiena
testa reclinata in avanti
un cappello copre il volto per intero
dall'orecchio destro sgorga una fiamma
l'azzurro del gas alimenta
sibila incivile nell'aria

I piedi staccati da terra
sotto l'ombra dimora e si dimena
iguana chiusa nello spazio destinato
non si piega al distacco verticale
saltare ricongiungersi al corpo
vuole infrangere a sua volta la Storia 
violare il principio della gravità

sabato 2 luglio 2011

Lacrime

Non appartenete al secolo, 
ma date date il vostro corpo 
come sacrificio vivente 
Paolo


Tre volte al giorno
devo mettermi le lacrime artificiali
per piangere davanti al telegiornale
per vedere la madonna di medjugorje
per fare parte a buon diritto
di questo tempo che accade
per appiccicarmi in un modo 
o nell'altro al secolo

Antinomia (partire)

L'impossibile
Arthur Rimbaud

Coltivo il sogno nel corpo
coltivo nuove piante dentro il sogno
abbacinato dall'utopia di un viaggio
non ho visto passare il convoglio umanitario
sono restato tra la polvere e il cielo
sospeso col naso per aria
rimasto come un cane a abbaiare


"il treno è in partenza dal binario mai"
allora corriamo a perdifiato sulla banchina
scappando dalla bomba a orologeria
già convalidato è il biglietto
nella morsa del tempo tra i denti
dell'inverosimile il suo bordo dorato 
reca il contrassegno per partire