blog di Carlo Cuppini

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giovedì 18 maggio 2023

La propria storia

Quando incontro i bambini nelle scuole, loro mi fanno domande e io rispondo; poi io faccio domande, e loro rispondono. A un certo punto viene fuori la questione di come mai il mio libro comincia con le meraviglie di Firenze che spariscono. La risposta la faccio scoprire a loro attraverso un semplice gioco di immaginazione: pensate alla cosa che rende veramente unico e speciale il posto in cui vivete - e sono certo che una cosa del genere c’è. Ci siamo? Bene. Adesso immaginate che una mattina vi alzate e quella cosa è sparita. “No!” Poi ognuno racconta quello che ha immaginato, e insieme ci accorgiamo che sono tutti inizi di bellissime, preziose storie. Ognuna di esse potrebbe continuare in mille modi, prendendo una piega umoristica, drammatica, realistica, fantastica… Ognuna di quelle storie tira in ballo tante cose.
Stamattina le bambine e i bambini della 5 C della scuola Anna Frank di Calenzano – accompagnati nei territori della conoscenza dalla brava, appassionata e attenta maestra Paola – non hanno soltanto risposto alla mia domanda, ma con molta serietà e spontaneità hanno iniziato a “scrivere” a voce gli inizi di tanti racconti. Come dei veri scrittori. Hanno fatto tutto loro.
“Tutte le mattina quando esco di casa per andare a scuola vedo sul pianerottolo il gatto dei miei vicini, e lui vede me. Ci guardiamo. Lui c’è, io ci sono: vuol dire che va tutto bene. Ieri mattina mi sono svegliata e il gatto non c’era.”
“Da piccola, quando tornavo da scuola facevo il gioco dei tombini. Dovevo saltare da un tombino a un altro. Il gioco l’avevo inventato io, e mi ero inventata anche le regole. C’era un’unica regola, veramente: che potevo fare al massimo due passi per raggiungere il tombino successivo. A volte potevo fare anche più di due passi, veramente. Dipendeva più che altro dalla distanza del tombino. Avevo fatto delle regole un po’ elastiche. Mi ero inventata anche un’amica con cui giocare. Un’avversaria, più che altro. Ci sfidavamo tutti i giorni, e io vincevo sempre, e lei si infuriava. È una che non accetta di perdere. Forse la conoscete: si chiama Elsa, è la regina di Arendel. Sta nel cartone di Frozen, ma anche in parecchie magliette, e in altre cose. Ha molti poteri magici, ma contro il mio talento nel saltare sui tombini non poteva fare niente. Da piccola facevo sempre questo gioco. Per la verità lo faccio anche adesso. Insomma, l’altro giorno mi incammino verso casa e arrivata al solito punto i tombini non c’erano. Non c’erano neanche i buchi che i tombini coprono. Era tutto asfalto. Ovvio che era stata Elsa, per vendicarsi delle sconfitte! Mi è salito il sangue alla testa e con i pugni chiusi mi sono messa a correre verso Arendel. O almeno mi sono diretta nella direzione dove penso si trovi. Sono abbastanza certa di portarci arrivare. Camminavo a testa bassa e pensavo: Rivoglio i miei tombini! Ridatemi i miei tombini!”
In questa trascrizione ci ho messo un po’ del mio, si capisce… Ma del resto funziona così. Uno inizia a raccontare, condivide la sua immaginazione, qualcuno ci aggiunge qualcosa… La storia diventa di tutti. Tant’è che la Elsa-ladra-di-tombini poi è ricomparsa in un altro racconto, quello del bambino trasformato in rana da un nano che voleva rubare il sassolino che aveva piantato…
È stato incantevole e illuminante comprendere, insieme a questi giovani studenti, quanto sia importante riuscire a raccontare la propria storia, la propria fragile architettura, i fantasmi e le creature invisibili che la popolano, fosse anche attraverso un racconto fantastico e strampalato (citofonare a Kurt Vonnegut, “Mattatoio n. 5”…).
Il punto è che chi non sa raccontare la propria storia non ha gambe su cui camminare, non ha mani per afferrare le cose; è destinato a inseguire le ombre, lasciando impronte che subito spariscono al sole.
Per poter raccontare la tue storia devi accettare il fatto che non sei tu a inventarla, ma ti trovi dentro a una storia già iniziata. Dove tu non sei quello che vorresti essere, e anche questo lo devi accettare. Però, accettandolo, puoi imparare a voler essere ciò che sei. Volendo al contempo che gli altri siano quello che sono, con tutte le loro magnifiche differenze e sfaccettature - e incrinature che a volte tagliano, anche, ma il male passa in un attimo, abbiamo potenti lenitivi: le carezze, i sorrisi, le parole gentili.
Siamo stati bene insieme. Non so se questo “bene” sia scritto in qualche programma del Ministero dell’Istruzione e del Merito (che a me fa pensare a tutte le volte che da bambino ho pensato mestamente “non me lo merito”…), con il suo buffo logo da cartone animato. Ma siamo stati bene, davvero. E i due grandi gelsi, carichi di more quasi mature, erano proprio adatti a incorniciare la foto allegra che ci siamo fatti tutti insieme.

mercoledì 17 maggio 2023

"Fuori è quasi buio" di Alice Keller (Risma ed)

Ho scelto questo libro non so perché. L’ho pescato da un tavolo della libreria La Casa Sull'Albero, ad Arezzo, dove era esposto tra tanti invitanti libri per ragazzi. Non sono stato attratto in modo particolare né dal titolo né dalla copertina, dico la verità. E in casa ho una montagna di libri non ancora letti che non chiede certo di essere accresciuta. Tuttavia, per qualche motivo, ho dovuto prendere questo libro. E adesso che l’ho finito mi dico che ho fatto bene: perché è un libro bellissimo.
Parlo di “Fuori è quasi buio” di Alice Keller, Risma Edizioni.
Risma pubblica libri per bambini e libri per ragazzi; questo, nei bookstore online, è proposto a partire dagli 11 anni. Ma “Fuori è quasi buio” secondo me non è un “libro per ragazzi”. È una storia raccontata da un ragazzino, sì, e nel suo sguardo, nella sua voce, si mescolano la sensibilità sua, di Simone, e quella dell’adulta che gli dà vita attraverso le parole, di Alice. Per questo direi che è un libro per ragazzini e per adulti. Sono pochi, e preziosi, i libri che parlano a età anagrafiche diverse, che si trovano separate da passaggi iniziatici: perché con la loro stessa esistenza fanno esistere un ideale spazio di incontro e di confronto. Un ragazzino, un adulto, un anziano, che ascoltano la stessa storia, e davanti alla storia sono tutti uguali, perché la storia ne ha per ciascuno di loro. Come quando il marketing non c’era…
Della trama dirò soltanto che la voce narrante appartiene a un ragazzino di circa tredici anni. Simone è scappato, insieme al fratellino Mattia che ha un grave handicap mentale non meglio precisato, e si nasconde. I due fratelli vivono come clandestini, perché sono rimasti orfani e Simone non vuole avere niente a che fare con ciò che il mondo offre loro, obbligandoli ad accettarlo.
In queste pagine, nel susseguirsi di brevi capitoli, c’è un realismo psicologico molto coinvolgente, che ci fa attraversare la vicenda interamente calati nei panni del giovane protagonista. E sopra questo fitto e lieve tessuto di pensieri, riflessioni, decisioni, pianificazioni, c’è la poesia: molta poesia, molte metafore, molto bianco intorno alle parole. Che poi forse questo è un fare più adulto; e pure qui la poesia sorge con naturalezza dalla rete dei pensieri di Simone, a volte in modo inaspettato. Tutto quel bianco sembra volersi mangiare le parole, le opprime, come il buio sembra volersi mangiare il destino dei due fratelli; ma le parole non collassano sotto quella pressione, perché hanno una loro forza interna, una densità capace di opporre resistenza, un moto espansivo sufficiente a contrastare l’azione del vuoto. Proprio come nella poesia.
C’è la crudezza, anche; perché questa è anche una storia di sofferenza; di sofferenze che si incontrano e si intrecciano. Ma Alice Keller non indugia nella crudezza, non se ne compiace, e non la manovra astutamente. Anche essa appare e scompare, con continuità, alternandosi e sovrapponendosi alla poesia. E c’è la filosofia: quella terra-cielo che appartiene ai bambini, agli adolescenti, e a chi sperimenta il dolore. Ma la narrazione non diventa mai pesante o cerebrale. E c’è l’impressionismo delle sensazioni, negli occhi e sulla pelle, ma senza concessioni al manierismo delle trovate spumeggiante e delle frasi a effetto. C’è soprattutto la grazia, che fonde tutte queste componenti nella voce semplice e pulita di un ragazzino che si è sganciato dal destino che solitamente attende i ragazzini; e va avanti nel buio perché è necessario, con la speranza di farcela, con la paura di non farcela, per sé e per il fratellino, dove il confine tra i due non è chiaro nemmeno a lui. Senza aspettative che vadano oltre l’azione che sta compiendo: un presente sprofondato e precario che richiede di muoversi con la massima cautela, senza il beneficio delle distrazioni.
Alice Keller è capace di sorprendere il lettore ogni poche righe; ma sorprende in modo tenue, senza che la sua scrittura diventi sensazionalistica o risulti virtuosistica. Con questo libro ci ha fatto un bel dono.

https://rismalibri.com/catalogo/catalogo/fuori-e-quasi-buio

martedì 9 maggio 2023

"Il mistero delle meraviglie scomparse" nelle scuole di Arezzo e del Casentino

Stasera mi preparo all'ultimo incontro con le scuole di Arezzo e del Casentino, che si svolgerà domattina alla scuola Chimera. Sfoglio i doni che i bambini e le bambine mi hanno lasciato nell'ultima mandata di "incontri con l'autore" il mese scorso. Mi soffermo su questo magnifico e veridico ritratto e penso a quanto sono emozionati di vedere davanti a loro, in carne e ossa, l'Autore di cui hanno letto un libro. L'atmosfera è vibrante, il tempo circoscritto dell'incontro è un tempo magico, perché l'intensità rompe le membrane tra le cose separate e rende morbide le cose che sono rigide; ed è quindi già in corso un accadimento alchemico. Loro lo sentono, io lo sento.

Accadono cose inattese e incredibili. Forse impossibili.
Nei loro occhi leggo l'impressione di vivere una situazione rara e privilegiata.
Tuttavia sono io quello privilegiato: in queste occasioni mi travolge la consapevolezza di quanto grande sia il privilegio di poter scrivere storie, avendo la possibilità di farle arrivare a tante persone. A ben pensarci, è un'occasione e anche una responsabilità immensa. Non si possono fare passi falsi. Non si possono sprecare parole per raccontare storie che magari potrebbero piacere, ma in fondo non contano niente. Non si può aggiungere alla infinita messe di storie, e di libri, una storia inutile, un libro da poco. Tenere le mani nel piano del simbolico, piantare semi nel campo dell'immateriale, agitando personaggi, motivi, affetti, problematiche, emozioni, riflessioni, è davvero una cosa grande, molto più grande della dimensione umana di qualunque autore. Troppo grande per non stupirsi che possa davvero accadere.