blog di Carlo Cuppini

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lunedì 1 marzo 2010

Virgilio Sieni, "Visitazione": viaggio all'interno di un'opera

Saggio pubblicato su "Culture Teatrali. Danza/900" n.14, primavera 2006


VIRGILIO SIENI, VISITAZIONE: ITINERARIO NEL VENTRE DI UN’OPERA

1. Traiettorie poetiche: tra frantumi e unità
Il percorso artistico e le opere di Virgilio Sieni si possono collocare idealmente nello spazio dinamico compreso tra una fitta serie di opposizioni. Unità e frammentazione; attrazione per la contemporaneità e per la dimensione atemporale; passione per l’aspetto numerico e per quello materico del lavoro; lavoro sulla presenza dell’interprete e sulla sua assenza; oscillazione tra solidità del progetto architettonico e fluidità dell’intuizione poetica.
Le antinomie sono collegate da una continua dialettica tra contraddizione e complementarietà, che potrebbe richiamare quella tra Occidente e Oriente molto presente nella formazione e nel lavoro del coreografo. Il lavoro creativo non risolve nessuna delle opposizioni indicate, ma si risolve completamente in esse, destinando le opere all'irrisolto per eccellenza, all'enigma.
Nel territorio del progetto artistico, il lavoro si realizza come tensione esploratrice e unificatrice, come mappatura di qualcosa che resta in definitiva inconoscibile. Sforzo "alchemico" e pratica trasformatrice che conduce a nuove relazioni e associazioni. tra elementi fondanti o contingenti dell'esperienza umana, all'interno di contesti inconsueti e inauditi, secondo logiche sfuggenti, spiazzanti, a volte irriconoscibili e perturbanti.
L’indeterminatezza è caratteristica comune di un percorso proiettato verso l’apertura multilaterale del senso. Le singole tappe del processo artistico di Sieni sono caratterizzate da pulsioni osmotiche che le rendono permeabili l'una con l'altra. Da un punto di vista poetico la non perentorietà delle affermazioni, il senso diffuso dell’ascolto e dell’interrogazione, la non intenzionalità della significazione costituiscono il nucleo di una pratica tesa ad immergersi direttamente nel senso del mistero e nella bellezza.
Nel panorama contemporaneo della ricerca coreografica e teatrale, il lavoro di Sieni spicca, , per l'originale convergenza di una vocazione coerente con la multiformità di soluzioni poetiche, all’interno di un percorso tutto teso a iscriversi in un'idea pura e radicale di danza e di arte. Il suo percorso si è sviluppato a partire dagli esordi nei primi anni ‘80 grazie all'attraversamento di ampie arcate tematiche –dalla mitologia, alla tragedia attica, al mondo della fiaba, alle visioni della contemporaneità- e incontrando i più diversi ambiti della cultura umana –dalla filosofia, alla poesia, alla matematica, all'architettura, alle tradizioni popolari.
La scelta di una danza pura e l’apertura verso altre discipline non sono aspetti in contraddizione: il loro intreccio è segno di una vocazione plurale e unitaria insieme, articolata in varie direzioni e su molti piani contemporaneamente, ma dentro una prospettiva fondamentalmente olistica e “alchemica”.


Un aspetto centrale delle recenti opere di Virgilio Sieni è la deflagrazione visionaria del contemporaneo -mondo violento, violentato e incomprensibile da cui è impossibile sottrarsi, ma anche struggente e affascinante. Si tratta di una contemporaneità che preme brutalmente per imporsi, ma che allo stesso tempo nega la possibilità di una sua rappresentazione diretta che non sia banale e inefficace.
Nel periodo della guerra in Irak nasce Empty Space-Requiem (2003), lavoro stupito, attonito, dove schegge di tragedie attuali irrompono, attraverso la piccola finestra costituita da un televisore, in una scena enorme e silenziosa, attraversata prima da frenetiche figurine da fumetto, poi da una donna sola, che offre il suo corpo a una miriade di assorti travestimenti-vestizioni.
In Cado (2004) "le cose" del mondo attuale conquistano la scena violentemente, “cadendoci” dentro, attraverso una serie di oggetti quotidiani, lanciati nello spazio, esibiti come ready-made di duchampiana memoria, scagliati da danzatrici su altre. Cado, eseguito da sole donne, è un’intensa immersione nella dimensione del femminile, messa in stridente contrasto con una percezione della contemporaneità isterica, frammentata e devastante. Più sotterraneamente, questa visione lacerata è contrappuntata e sovrapposta a una riflessione “inattuale” -puramente coreografica- condotta sulle considerazioni filosofiche e morali di Spinoza nell'Etica, riguardanti soprattutto la ricchezza dei contatti umani, la potenza e sanità dell'agire, il male come depotenziamento corporeo dell'individuo.
Conclusa l’esperienza di Cado, con apparente scarto Sieni avvia il progetto Visitazione: l’attenzione viene inizialmente rivolta lontano dalle visioni e dai suoni del mondo attuale, a favore della creazione di un luogo appartato e protetto, di grande intimità e concentrazione, dove possa realizzarsi un intenso incontro con la pittura del Pontormo. Sembrerebbe trattarsi della scelta di un confronto puro dell'arte con l'arte, ma anche in questo progetto finisce per prevalere una tendenza all’apertura e all’osmosi, collocando l’opera nel solco già tracciato dai precedenti lavori.
La scelta iniziale di estrema “sottrazione” ha portato a un percorso di tappe spettacolari in cui gli elementi della creazione si presentano in uno stato straordinariamente puro ed essenziale. L'intenso confronto con il dipinto, realizzato in condizioni di silenzio, dilatazione temporale, concentrazione, ha provocato l'emersione di aspetti cruciali del lavoro coreografico: come il rapporto tra corpo coreografia ed energia; quello di un corpo danzante con una fonte pittorica; le questioni legate all'agire uno spazio astratto che tende a farsi luogo e dimensione soggettiva; la natura archetipica dei valori numerici e le loro implicazioni geometriche e simboliche nell'opera; la riconsiderazione della vocalità come fatto inalienabile al corpo danzante, e allo stesso tempo come messa in pratica di una precisa idea di spiritualità; il problema della convergenza, essenziale e non illustrativa, tra la costruzione dell'opera e il tema o la "dimensione" prescelti come obiettivo del progetto.


2 Il progetto Visitazione
Nell'arco di un anno il progetto dato vita a poche intense tappe, all'insegna dell'essenzialità: lo studio Visitazione>primo studio, il debutto dello spettacolo Visitazione>Mother Rhyt ha hm, alcune riprese di quest'ultimo, variate e decostruite al punto di potere essere considerate eventi a sé stanti.
Il lavoro è iniziato nell'estate 2004, a ridosso delle ultime repliche di Cado, con spirito di continuità e coinvolgendo lo stesso quartetto di danzatrici. Nel giro di pochi giorni è stato abbozzato molto del materiale coreografico di base; poi, in due mesi di prove, attraverso una lunga elaborazione e cesellatura, è stata raggiunta la forma compiuta di Visitazione>primo studio, presentato come un primo approccio al "tema", ma anche come lavoro autonomo. Era un'opera composta da tre diverse "azioni coreografiche", un lavoro rigoroso ed estremo, dove la coreografia e il tessuto scenico erano distillati in una scelta di purezza tanto radicale ed esigente da lasciare gli elementi del processo creativo in uno stato di assoluta essenzialità, cristallina e di quasi inaccessibile perfezione.
Nella tappa successiva, Visitazione>Mother Rhythm, la radicalità dello studio era stemperata in una visionarietà più avvolgente ed evocativa; il materiale coreografico, in altri due mesi di lavoro, veniva completamente revisionato, fino alla soppressione e ri-creazione di intere parti: le coreografie, tolte al loro stato di purezza linguistica, erano ora immerse in contesti riconoscibili, quasi frammenti narrativi, e travestimenti: donne truccate da clown in una povera cucina, personaggi surreali riuniti in un non-luogo simile a una discarica. In questa operazione gli elementi più puri e formali arretravano in un secondo livello sotterraneo, mentre affioravano chiaramente in superficie alcuni contenuti e temi evocati dall'opera del Pontormo: l'incontro e la distanza, la maternità e l'infanzia, l'abbandono e la richiesta di ascolto. Aspetti rilevati da Marinella Guatterini nella recensione alla prima dello spettacolo:

Sieni torna a guardare al prediletto Pontormo [...] per "dire" di una femminilità in attesa dell'incarnazione, di una verginità che collima con la sterilità, di un desiderio materno che, disatteso, si stempera nel gioco infantile, nell'imitazione e nel travestimento animale.

A questo punto il progetto Visitazione, che fino allo “studio” aveva mantenuto una chiusura quasi ermetica su se stesso, si è aperto decisamente a una preoccupazione per il mondo, a una ricezione delle sue immagini e della sua invadenza. In questa contaminazione del luogo protetto della Visitazione con le desolanti macerie del mondo attuale, comparivano in scena, accanto alle citazioni pittoriche, sedie da ufficio, neon, carrelli della spesa, brani di musica jazz, rumori di elicotteri.
Dopo il debutto e qualche replica, lo spettacolo ha continuato a mutare, attraverso un articolato processo di de-costruzione per tappe: a luglio è stato presentato a Bologna, con lo stesso titolo, uno spettacolo itinerante composto per lo più dagli stessi materiali scenici, ma distribuiti in vari ambienti di un palazzo storico, e con l'aggiunta di alcune parti eterogenee volte ad arricchire e a "disgregare" la solidità della struttura dell'opera: si svolgeva una performance di “affettamento” di verdure su un tavolo, con risvolti simbolici di tipo auto-sacrificale, e diverse azioni sceniche che mescolando il quotidiano all'onirico dilatavano l'ultima parte dello spettacolo e le assegnavano un valore più inquietante e ambiguo.
In agosto, , la compagnia ha presentato al festival Drodesera Visitazione>Mother Rhythm diviso in tre serate diverse: segno che le tre parti dell'opera erano state elaborate nel senso di una reciproca autonomia. Nella presentazione del lavoro il coreografo dichiarava:

Abbiamo scelto di sviluppare il lavoro in tre giorni dedicando la massima attenzione al luogo dell’azione inteso come stanza dell’incontro e dell’avvento. Sono sempre le quattro figure femminili che rinnovano il loro stare nell’attesa attraverso il tramandarsi, una condizione trasfigurante e enigmatica dall’essere madre all’essere figlio, dentro e fuori dal ventre.

A questa scissione delle tre parti corrispondeva una loro ulteriore apertura e contaminazione con la realtà esterna: il rapporto col pubblico era infatti molto più stretto, nell'intimità di uno spazio non-teatrale; inoltre nelle tre serate venivano coinvolti quattro vigili del fuoco e quattro donne anziane, che introducevano o concludevano i pezzi affiancandosi alle danzatrici con vere a proprie azioni sceniche.
Con questo epilogo il progetto Visitazione si contaminava definitivamente con “brani” di realtà esterna all'opera e con presenze altre, aprendosi a nuovi sensi e predisponendosi a offrire nuovo materiale per i successivi lavori della compagnia.

Nel paragrafo seguente ci caleremo dentro il processo di creazione relativo al progetto Visitazione, cercando di metterne in luce gli elementi essenziali. Ci concentreremo in particolare su una tappa del progetto, Visitazione>primo studio, mettendo in relazione considerazioni generali sulla prassi artistica di Virgilio Sieni con esempi concreti tratti dall’osservazione delle prove.



2.1. Concezione, progetto, tavole coreografiche
Le prove della compagnia sono sempre precedute da un'importante fase di "concepimento" e preparazione da parte del coreografo, finalizzata a inquadrare esattamente le coordinate del progetto e a raccogliere una quantità di stimoli visivi, verbali, sonori, in vista del nutrimento del successivo lavoro coreografico.
In questo caso i punti di partenza erano due: la visione della Visitazione del Pontormo, naturalmente, e un recente saggio del filosofo J-L. Nancy, dedicato a sua volta all'opera del pittore manierista.
Il dipinto, del 1538 circa, rappresenta un topos dell’iconografia cristiana: l’incontro tra Maria e sua cugina Elisabetta, entrambe rimaste gravide in modo miracoloso (una è vergine, l’altra sterile) ed entrambe madri di "qualcosa" di sacro (Gesù -il divino tout cour- e Giovanni -futuro profeta e santo).
La rappresentazione del Pontormo è inconsueta e perturbante: non riprende nessun canone iconografico precedente e sembra contravvenire le stesse leggi della logica e della verosimiglianza: le due donne protagoniste, che si guardano e vanno verso un abbraccio, sono raddoppiate in altre due misteriose figure identiche, poste frontalmente dietro di loro. I colori sono acidi, sovrastati da un cupo cielo verde bottiglia che ricorda alcuni cieli di De Chirico. Tutte le linee di forza e le dinamiche formali nell'opera tendono a creare una ritmica oscillante tra i valori del 3 e del 4, a partire dal movimento degli occhi delle donne: 3 paia di occhi per 4 donne, i cui sguardi rimbalzano da una all'altra e infine fuori dal quadro.
A partire dall'analisi del dipinto, il filosofo francese svolge una serie di considerazioni sui rapporti sostanziali tra arte e sacro, dichiarando che

l’atto della pittura non commemora una scena delle Sacre Scritture, ma mette in opera la posta in gioco di una presenza che non è niente che si possa richiamare e che al contrario è ciò che chiama "nel" quadro [...] nell’intimità della sua superficie folgorante.

E a proposito della Visitazione, in particolare, afferma che

la scena è per eccellenza interamente spirituale o pneumatica: l’essenziale è sottratto agli occhi e passa attraverso le voci, attraverso un tocco di voce che fa trasalire l’intimo e il non-nato nell’invisibile. Ciò che accade è un lampo dello spirito tra due presenze assenti, due vite in ritiro dall’esistenza. [...] Diciamo che, con questo soggetto, l’invisibile deve balzarci agli occhi.

Intrecciando inestricabilmente i percorsi di immersione nell'opera pittorica e di riflessione sul testo, Sieni si è mosso quindi verso il concepimento della sua Visitazione, fissando visioni, intuizioni e piani in una serie di tavole coreografiche. Queste sono a pieno titolo testi creativi autonomi e paralleli all'altro textus che è l'opera spettacolare: veri ricettacoli di immagini ritagliate da riviste, disegni geometrici, diagrammi e riflessioni grafiche sulle qualità dei valori numerici che ricorrono, piani coreografici con linee di spostamenti e configurazioni spaziali, figure corporee collocate in uno schematico spazio scenico quadrato; appunti verbali, citazioni dal saggio di Nancy, riflessioni proprie a livello coreografico, scenico, poetico, filosofico; schemi precisi sul piano e la partizione dell’opera. Tutti questi materiali sono associati e giustapposti su grandi fogli di carta, con un criterio di montaggio visivo analogico e intuitivo, affinché aprano a un ampio ventaglio di suggestioni al momento delle prove, senza nessi di significazione preordinati.
Nonostante l'estrema circoscrizione dell'oggetto al centro del lavoro, la realtà “esterna”, come si accennava, non è rimasta fuori dal processo, e già in questa fase preliminare è possibile vedere come alcuni materiali premano "da fuori" per conquistarsi un posto nelle tavole, creando ponti verso l'attualità e la contemporaneità: come le immagini tratte dalla video-installazione di Bill Viola dedicata alla Visitazione del Pontormo, ma trasposta in chiave attuale; o le fotografie di donne dell'oggi e di oggetti d'uso comune, richiamati per qualche ragione non evidente accanto all'immagine pittorica o ai disegni del coreografo.
Il piano dell'opera, come prefigurato nelle tavole, concepiva una suddivisione in quattro parti -coerentemente alla “mistica quaternaria” che informa l'intero progetto: la prima parte doveva essere una coreografia esatta e lenta che incorporasse, attraversandole, una miriade di citazioni pittoriche, con continui ritorni alla figura della Visitazione; la seconda, definita “pezzo polifonico”, doveva mettere in atto "un’idea di concerto" attraverso una netta e ritmica gestualità delle braccia; la terza (non realizzata) sarebbe dovuta essere una visione smaterializzata, sospesa, che immergesse la scena nel buio e sostituisse alla visione dei corpi delle danzatrici la video-proiezione di un’ipotetica “coreografia degli occhi”; la quarta e ultima (poi divenuta la terza), più dinamica e più strettamente coreografica delle precedenti, doveva realizzare una “dolce lotta”, riprendendo una danza di contatti e pressioni già praticata in Cado.
Al di là della precisione millimetrica delle tavole (come di consueto composte su carta millimetrata), i materiali preliminari hanno il senso, più che di prefigurare in modo perentorio le caratteristiche concrete dell'opera, di delineare le coordinate geografico-immaginifiche, l’orizzonte creativo e spirituale entro cui il lavoro si va poi a svolgere come un’esplorazione: mappatura empirica di un territorio circoscritto ma incessantemente mutevole, zona di smarrimenti e ritrovamenti, enigmi e illuminazioni; cartografia necessariamente immateriale e “impermanente”, perché dell’immateriale e dell’impermanente, realizzata attraverso il corpo effimero della danza.


2.2. Corpo, coreografia, energia
Tutto comincia con il corpo; tutto o quasi si risolve in esso. La danza, per Virgilio Sieni, è disciplina e cura del corpo, prima di qualunque problematica estetica o stilistica. E la danza intesa come specifica arte teatrale, è la possibilità per il corpo di progettare e compiere itinerari nella cultura e nello spirito, elevandosi allo stesso livello del pensiero e realizzando opere che "parlano" al corpo del corpo, alla cultura della cultura, allo spirito dello spirito, con vocazione pionieristica e insaziabile desiderio di innovare e conoscere.

Nel campo del movimento, della danza siamo proprio all'inizio. [...] Il corpo -mi rendo conto attraverso la pratica e la disciplina- ha delle possibilità infinite dentro di sé, sia motorie che di associazione, che ancora sono tutte da mostrare.

Sebbene Sieni sia stato definito fautore di un "ritorno ai valori propri della coreografia", per lui la coreografia non è un repertorio cumulativo di movimenti, né un codice linguistico da cui partire: essa si ri-origina sempre dalle proprie macerie, a partire da un grado zero del sapere corporeo (del corpo e sul corpo) che viene continuamente e volontariamente perseguito attraverso il rinnovamento nella pratica. Le qualità del movimento di ogni spettacolo (evitando di parlare di stile) si determinano di volta in volta insieme al delinearsi dell'orizzonte e del senso artistico dell'opera, né prima né dopo: infatti non c'è alcun processo di traduzione di contenuti dati in movimento né, viceversa, di assegnazione di contenuti al movimento dato -come in molti esempi di teatro-danza. La coreografia è invece qualcosa di immanente e impermanente, perciò non può che nascere ed estinguersi ogni volta che si manifesta nell'atto di danzare.
Quel "quasi codice" (secondo una definizione di Sieni) che è il “movimento articolare” -riconoscibile a partire dai lavori fiabeschi come fisicità paradossale: spezzata ma circolare, cedevole ma energica, discontinua ma fluida- fa apparentemente eccezione a queste considerazioni: in realtà non si tratta tanto di uno stile o di un codice, quanto di una concezione di corpo risultante dall’incessante studio sui rapporti tra corpo ed energia. Questa, secondo la concezione orientale di cui Sieni è debitore per formazione e vocazione, è sfuggente e difficilmente definibile; è qualcosa che circola là dove esistono dei canali atti a riceverla, che non si estingue, che agisce concretamente mostrando i suoi effetti, pur essendo inafferrabile tanto dal corpo quanto dalla mente. Uno degli obiettivi del tenace studio tecnico a cui Sieni sottopone i suoi danzatori -e della rigorosa messa in forma del corpo e della messa in coreografia del movimento- è proprio l'acquisizione di familiarità con l'energia. La cesellatura estrema delle frasi coreografiche e l'avversione per ogni tipo di abbozzo, non derivano tanto da un perfezionismo estetico, quanto dall'esigenza di individuare le forme ottimali perché avvenga la circolazione dell'energia attraverso il corpo in movimento –forme analoghe ai kata nelle discipline orientali. Le pratiche di arti marziali come l'aikido hanno portato Sieni a mettere a punto un'idea e una pratica di corpo e di movimento -il “movimento articolare”- che consentono al danzatore di "essere circolato" dall'energia, facendo di ciò la base tecnica e concettuale della propria danza. Questo avviene soprattutto grazie all'attenzione ai vuoti del corpo, cioè, al di là delle teorie e delle suggestioni possibili, ai punti articolari, alla loro fragilità e mobilità, in opposizione all'idea di tenuta muscolare. Nel vuoto, nel fare spazio all'interno del corpo, il danzatore fa di sé un canale aperto, un tramite per il passaggio dell'energia che entra ad esce dal suo corpo mettendolo in relazione con le altre presenza, e con il tutto presente.
Come ho detto, non bisogna credere che questa idea di corpo implichi la sedimentazione di uno stile. Il movimento nasce in ogni caso dalle esigenze dell'opera che si va facendo e il lavoro a Visitazione ne è un perfetto esempio: infatti le tre "azioni coreografiche" dello studio mostrano tre tipi di fisicità completamente diverse, nessuna esteriormente simile alla tecnica del “movimento articolare”.
La prima azione si costruisce su un'idea di lentezza estrema, muscolarmente tenuta, che evochi e crei una dimensione temporale sospesa, una bolla che avvolga ogni movimento in una lucida nebulosità ipnotica: una fisicità plastica, non gestuale, che unifica le danzatrici in un unico, denso corpo scultoreo. La seconda parte si fonda su principi opposti: il movimento è rapido e leggero, concentrato nei gesti delle braccia lanciati da una danzatrice all'altra in dialogo vertiginoso ed esatto. La terza parte invece dispiega una coreografia dinamica e spazialmente ampia, costruita interamente sull'idea di "pressioni di un corpo su un altro corpo", sorta di reinventata contact-improvisation, incrociata con qualche tecnica immaginaria di lotta rituale.
In questo caso il discorso dell'energia non è legato tanto alle specifiche tecniche di movimento e si sposta su un piano più interiore, connesso all'atteggiamento e alla disposizione psicofisica del danzatore: è necessaria una grande apertura e una presenza integrale, l’estrema consapevolezza della vitalità che si dà o si prende dall'ensemble, la sicurezza di sé nel rischio dell'azione, affinché l'energia circoli in qualunque tipo di situazione fisica e coreografica.
Il rapporto tra corpo, coreografia ed energia resta comunque una questione aperta e problematica: ogni progetto intrapreso è anche l'occasione per tornare a interrogare, attraverso la pratica, ognuno di questi elementi e le loro sfuggenti relazioni.


2.3. Suono, voce, pneuma: oralità e impermanenza

Maria chiama Elisabetta e tutto il quadro è l’eco silenziosa ma vibrante di questa voce: il trasalimento in cui infiamma i suoi colori e le sue curve.

A partire dai lavori sulla fiaba l'uso della voce e delle sonorità corporee è stato praticato sistematicamente da Sieni, in un susseguirsi di sperimentazioni e diverse soluzioni spettacolari. L’esplorazione della vocalità è andata di pari passo con la definizione del concetto di "oralità", divenuto un nucleo essenziale della sua poetica; concetto che per analogia richiama subito quello di "impermanenza" o non conservabilità, fondante nelle filosofie orientali. Oralità, impermanenza, non conservabilità, sono espressioni riferibili tanto al movimento corporeo quanto alla parola detta: sia l’uno che l’altra infatti esistono soltanto per il tempo in cui si sviluppano; poi vengono riassorbiti nel nulla da cui sono derivati.
Il termine “orale” può apparire paradossale se associato alla danza. Ma bisogna ricordare che il fare coreografico di Sieni ha perso progressivamente il carattere di scrittura, astratta e trascendente, a favore di una organicità e immanenza che rende indistinguibile il danzatore dalla sua danza, l'atto di esecuzione dall'atto di improvvisazione. Collocando in modo radicale la danza su un piano di presenza, immanenza, impermanenza, essa appare infatti meno simile a una scrittura o a un testo, che non al manifestarsi del suono, e in particolare di quel suono che è la voce: come la voce, il movimento si origina dentro il corpo, nel suo incavo, e ne porta fuori l'intimo, l'organico, il fragile.
La pratica della voce e la riflessione sull'oralità della danza, continuando oltre i lavori sulla fiaba, hanno raggiunto un'importanza essenziale nel progetto Visitazione.

Tutto quello che ho fatto nel 2004, compresa la Visitazione, deriva dall'approfondimento della mia ricerca sulla voce e sul suo rapporto col corpo.

Nell'analisi di Nancy la scena della Visitazione del Pontormo è descritta come “interamente pneumatica”, il dipinto è intessuto di risonanze silenziose e misteriose, espressione dei sentimenti delle due donne, ma anche del senso profondo dell'opera e dell'episodio evangelico rappresentato: il suono coincide con il pneuma che è soffio, anima e spirito, e che si produce in una cavità vuota grazie alla vibrazione o alla percussione delle sue pareti. La spiritualità è messa chiaramente in relazione con il vuoto e con la natura effimera e immateriale del suono.
Nel realizzare la sua Visitazione, seguendo la propria linea di ricerca e le convergenti riflessioni del filosofo francese, Virgilio Sieni ha dato ampio spazio all'uso della voce e alla ricerca di possibili risonanze. Nello studio, parallelamente al lavoro di costruzione coreografica, è stata sperimentata la dimensione sonora della scena, intrecciando alla partitura fisica una complessa traccia vocale. Durante le prove la presenza della voce si è rivelata sottoposta alle stesse logiche sottili e inesorabili che presiedono all'organizzazione dello spazio e del movimento: nel textus complessivo dell'evento in alcuni punti si determinava la necessità di un suono preciso, a volte una "a" poteva dover essere cambiata con una "e", un sussurro andava trasformato in un grido, e tutto questo non per ragioni drammaturgiche ma di pura coerenza formale e sostanziale dell'opera; affinché tutta la delicata architettura costruita intorno all'intuizione di fondo dell'opera non fosse sbilanciata e non cadesse. Nella prima parte dello spettacolo lo stesso Sieni entrava in scena con il solo scopo di "cantare" delle nenie, che avvolgevano il fluire coreografico delle danzatrici. Nell’ultima parte una violoncellista compariva al margine della scena e produceva una banda sonora densa e ostinata: il senso di voragine evocato dal suono grave e la forma stessa dello strumento –così simile ai corpi formosi delle due donne del dipinto- richiamava ulteriormente e potentemente il senso dell'incavo, dello spazio vuoto che accomuna la cassa armonica, dove nasce il suono, al ventre, dove nasce la vita, alla scena, dove nasce l'opera.


3.4 Figura, citazione, copia

L'uso della citazione è, come afferma lo stesso coreografo, "portante", in quanto colloca l'azione sullo stesso piano del pensiero.

Il rapporto con le immagini è centrale nel lavoro coreografico di Virgilio Sieni, anche se non si può in nessun caso sostenere che il suo sia un teatro di immagini. La produzione di immagini che lo spettacolo comporta non è il fatto essenziale della sua attività e il rapporto tra il corpo e le immagini ispiratrici non si risolve nella loro semplice messa in scena: rimane invece necessariamente irrisolto, e quindi potentemente attivo, nella messa in figura del corpo, in relazione a determinate visioni.
Tra immagine e figura ci sono differenze sottili ma sostanziali; Romeo Castellucci, regista artisticamente vicino a Sieni, definisce la "figura" come

una struttura nel tempo, [che] ne condivide con noi la corruzione anche nel corpo, e per questo è commovente. Può essere anche devastante una figura, cosa impossibile per un'immagine.

In questo contesto, il concetto di figura rimanda a uno spessore e a un vuoto: a uno scavo nello spazio per fare spazio a una visione incarnata; il corpo quindi non rappresenta un’immagine imitandola, ma si fa figura, si dedica a una figura, ne condivide le sorti per un frammento di tempo. La figura è un’immagine vivente, vibrante, attraversata da forze.
Nel lavoro di Sieni il corpo danzante si è sempre rapportato alla figura e –in senso lato- all'icona attraverso la pratica della citazione e della copia. Questi due termini, usati comunemente da Sieni, indicano due approcci leggermente diversi alle fonti visive: con citazione non intende tanto la riproduzione di un’immagine, quanto la possibilità del corpo di attivare la propria intima memoria di un elemento visivo, con tutti i significati e le suggestioni che esso può avere; la citazione quindi non è quasi mai pedissequa, e può anche rimanere del tutto nascosta, restando un fatto interiore del danzatore. La copia è piuttosto l'adesione del corpo alla forma di un altro corpo, vivente o rappresentato, con attitudine interrogativa e interlocutoria, come verificando la propria possibilità di entrare in un rapporto di sintonia e somiglianza con l'altro; la copia è la mimesi, è il diventare per un attimo uguali; ed è anche, come imitazione, il metodo pedagogico e di trasmissione messo in atto dalle varie discipline orientali e da tutte le tradizioni orali. Sia la citazione che la copia non sono quindi fatti formalistici o estetici, ma derivano da –e implicano- profondi moti emotivi e affettivi in relazione alla forma.
Il progetto Visitazione ha come punto di partenza e come centro gravitazionale il rapporto della danza con la visione di un’opera pittorica. Nello studio, in particolare, il rapporto con il dipinto era centrale ed è stato sviluppato in modo esclusivo e radicale, senza aggiunta di elementi diversivi. In ognuna delle tre "azioni coreografiche" era attuato un particolare approccio all'immagine ispiratrice, come avvicinandosi da direzioni diverse allo stesso punto, privilegiando prospettive molteplici. La prima parte prendeva le mosse dalla citazione esatta dell'immagine di riferimento, per poi attraversare 80 figure, variazioni o ritorni sulla stessa immagine, oltre a citazioni di altre opere pittoriche, da Durer a Pontormo a Piero della Francesca a Beccafumi. La dimensione indagata, facendo uso di citazione e copia, era soprattutto quella dell'abbraccio, colto in una sospensione temporale e nei suoi valori plastici, densamente corporei.
La seconda azione coreografica era descritta in questi termini nella presentazione: "nel rombo spaziale le donne agiscono polifonicamente". Qui la visione era quasi un negativo rispetto alla parte precedente: al posto del pieno corporeo-scultoreo dominava il vuoto di una forma spaziale ossessiva –il quadrato-, che le danzatrici determinavano con le loro posizioni statiche, dalle quali si lanciavano messaggi attraverso una frenetica gesticolazione delle braccia e una complessa partitura vocale astratta. Il confronto con la pittura portava la danza a nutrirsi di ciò che in essa allude al gesto e alla sonorità: le mani tese nell'abbraccio e in uno spontaneo sforzo comunicativo, i volti assorti e come in ascolto di un sussurro reciproco, o di un sussulto dei bambini nei due ventri.
La terza parte, detta "dolce lotta", coglieva del dipinto il dinamismo formale e cromatico e l'aspetto ritmico: si trattava di una pura coreografia altamente dinamica e dispiegata, fatta di ampi attraversamenti dello spazio, incontri e contatti e repentini allontanamenti, improvvisi cambiamenti di livello spaziale. La complessa ritmica e oscillazione numerica che emerge a un’attenta visione del dipinto –binaria, ternaria, quaternaria - era ripresa nella coreografia anche attraverso le improvvise "espulsioni dallo spazio", che portavano alcune danzatrici a uscire dalla dinamica restando al margine dello spazio, mentre in scena le linee di forza della coreografia si ricomponevano secondo modelli formali e ritmici diversi.


3.5 Spazio, luogo, dimensione

Il progetto nasce dalla necessità di indagare una dimensione rivolta alla dilatazione del tempo e dello spazio e sorprendersi del nulla, instaurando un forte rapporto col luogo dell'evento.

L’immemorabile è ciò che è infinitamente antico e così definitivamente presente.
Essere insieme "infinitamente antico e definitivamente presente" è una proprietà dello spazio; Virgilio Sieni mette talvolta l'accento sulla qualità "pre-umana" dello spazio, che i danzatori devono ascoltare, con cui devono avere una relazione enigmatica e interlocutoria, ma attiva e sensibile. D'altra parte lo spazio è abitato dall'uomo, è stato “umanizzato”; ma lo spazio umanizzato non è più spazio: è luogo. Come afferma G. Pasqualotto:

un luogo è una porzione di spazio sempre connessa a qualcuno che l'ha definita come 'posto', la quale deve la sua configurazione a 'tempi' determinati, in parte, da eventi naturali e, in parte, da vicende umane.

Lo spazio è legato all'idea di vuoto, così come il luogo è legato all'idea di quel pieno che è l’insieme natura-cultura. Se lo spazio può accogliere una coreografia intesa come linguaggio puro, astratto, trascendente, il luogo accoglie azioni reali e tutto ciò che in esso si svolge è vissuto, prima che linguaggio.
La consapevole dialettica spazio/luogo nei termini sopra esposti, pone il corpo in bilico tra l'idea di realtà e quella di rappresentazione. Allo stesso tempo lo pone in relazione con l'energia, concetto sfuggente e problematico, come abbiamo visto, ma che certamente è legato a un'apertura verso lo spazio; quell'energia che le culture orientali considerano corrispondente sia al vuoto che alla natura, ma non a uno solo di questi due elementi senza l’altro. (puoi rendere un po’ più semplice il paragrafo precedente?) Così, ad esempio nella concezione cinese tradizionale, il Tao corrisponde al vuoto, ma allo stesso tempo corrisponde alla natura; da una prospettiva ulteriore il Tao definisce l'energia che circola nel vuoto e nella natura insieme, e li agisce.

Il mio spazio ideale è privo di ingombri [...]: è vuoto. Ciò che mi interessa è prendermi cura del vuoto, non riempirlo, ma individuarne le coordinate, scoprirne le energie, concentrarmi sulla sua ombra, un po' come avviene nella cerimonia del tè.

Sieni parla sia di "spazio" che di "luogo", in relazione all'opera in progress. “State in contatto con lo spazio, ascoltate le sue esigenze”: raccomandazione che viene spesso rivolta ai danzatori per esortarli a comprendere e padroneggiare l’energia specifica del pezzo coreografico in fase di studio. "Dovete creare il vostro luogo": questa indicazione esprime la necessità di sviluppare e percepire un vissuto, nel lavoro, che non sia rappresentato ma sia evento.
Il concetto di luogo contiene intrinsecamente quello di evento, il quale risolve il problema della rappresentazione e della finzione: ciò che avviene in un luogo, al fondo, è vero: si colloca in ogni caso nel fluire del tempo reale e non di quello fittizio della rappresentazione, anche se si tratta di uno spettacolo. E’ una questione di prospettive, quindi di scelta.
Se lo spazio è "vuoto" e richiama l'idea di "fare spazio", cioè svuotare, espellere, come evidenzia M. Heidegger, il concetto di luogo si muove su una direttrice opposta e complementare, portando con sé il senso dell’"aver luogo", cioè comparire, manifestarsi, incarnarsi. L'invisibile allora può avere luogo nell'evento dell'opera -proprio quell'invisibile che appartiene intrinsecamente al tema della Visitazione come presenza del sacro nascosta nel ventre della madre.
L'inizio del lavoro coreografico riguarda propriamente i corpi nello spazio, finché non interviene l'insorgere del luogo specifico, dato dallo stratificarsi delle esperienze, dalla presa di coscienza della prossimità reale tra i danzatori, dall'aspirazione a far sì che la dimensione invisibile propria del progetto abbia luogo. Col termine “dimensione” Sieni intende la profonda e specifica qualità dell’opera proiettata nella sua compiutezza e autonomia poetica. Nel percorso del lavoro la riflessione sulla dimensione dell’opera viene tirata in ballo nel momento in cui è necessario convergere verso un preciso orizzonte artistico, unitario e multilaterale, che custodisce un suo preciso sentire e un suo segreto -segreto che l'arte può condividere e s/velare senza violare.
La "dimensione visitazione" –quell'insieme di suggestioni evidenti ed enigmatiche attive nel dipinto- si è imposta come obiettivo a partire dal momento in cui il materiale coreografico aveva già una sua consistenza: solo a quel punto il coreografo ha cercato sempre più frequentemente di farla presente alle danzatrici, man mano che era necessario staccarsi dalla sicurezza della precisione di esecuzione e quindi "andare verso la profondità", raggiungere, attraverso l'alchimia di tutti gli elementi, la pregnanza poetica dell'opera. Raggiungere la dimensione non implica un lavoro intenzionale o volontaristico sull’emozione o sull’interiorità, come in certo teatro e teatro/danza: si tratta invece di rendersi disponibili a recepire intimamente quanto di sottile e ineffabile va insorgendo nell’opera attraverso il lavoro, in modo in parte imprevedibile e autonomo dalle intenzioni.


3.6. Numero, forma, enigma

Una data melodia, ovvero un sentimento espresso in un seguito temporale di suoni, risponde a una certa proporzione di spazio. [...] Numero ed emozione sono le due facce di una stessa medaglia.

Il numero è qualcosa di particolare, di misterioso vorremmo dire. Nessuno è ancora mai riuscito a diradare il suo nembo numinoso.

Strettamente collegato al discorso sullo spazio è quello numerologico: il numero può essere visto come una realtà intermedia che accomuna varie dimensioni -quella spaziale, musicale, cinetica, archetipica- e mentre le collega in modo misterioso, le apre al contempo al versante dell'emozione e a quello dell'enigma. L'interesse di Virgilio Sieni per i numeri risale ai suoi primi lavori e non è mai venuto meno; scriveva in Anatomia della fiaba:

La forma più complessa da gestire è il trio [...] C'è qualcosa che lega il tre all'indefinito, all'indicibile, all'asimmetrico, alla caduta, a qualcosa che non si può ricondurre a un insieme pacifico.

Visitazione rappresenta una radicale immersione in questa ossessione, che viene sviluppata come indagine sistematica sulle peculiarità di alcuni numeri in tutti gli aspetti sopra indicati; così l'oscillazione tra valori ternari e quaternari presente nel dipinto offre lo spunto per la definizione di forme coreografiche e dispositivi strutturali atti a interrogarne e farne risuonare il senso.
L'aspetto quaternario, in particolare, compare ossessivamente nella “forma-rombo” -matrice della quasi totalità delle configurazioni coreografiche-, nella quadripartizione strutturale dell'opera e delle sue singole parti, nel criterio di perpendicolarità su cui si basano le variazioni spaziali di molte frasi coreografiche.

Anche le immagini di totalità psichica prodotte spontaneamente dall'inconscio e i simboli del Sé in forma di mandala hanno struttura matematica. Si tratta per lo più di quaternità o di multipli di quaternità.[...] Queste configurazioni non esprimono soltanto ordine, lo causano anche. Perciò appaiono per lo più in stato di disorientamento psichico, oppure danno forma a esperienze numinose.

Questa associazione del numero 4 al mandala illumina di ulteriore significato un momento dello spettacolo, detto appunto "mandala", in cui le quattro danzatrici si stendevano a terra a raggiera, con le teste vicine, ad angolo retto l'una con l'altra, e compivano con le mani una sorta di mudra o sequenza ipnotica: la creazione di un mandala si inserisce -intuitivamente- nell'esplorazione del numero 4 come simbolo. E' evidente che i numeri, e le forme e configurazioni ad essi legati, portano con sé dei valori culturali e archetipici che sono richiamati nella creazione dell'opera, dalle esigenze della sua costruzione e composizione, in vista del raggiungimento della dimensione perseguita. L'ossessione del numero 4 ha informato tanto a fondo il processo e l'opera -anche a livello inconscio- da determinare una durata dello studio di esattamente 44 minuti -cosa non prevista da Sieni stesso fino al momento del debutto dello spettacolo.
In accordo con la citazione di Jung in testa al paragrafo, il numero è legato al mistero e al "numinoso". Il mistero e l'enigma sono un altro elemento centrale nella poetica di Virgilio Sieni. Con questi termini non si intende la volontà di criptare determinati significati per renderli poco accessibili, quanto di proteggere l'opera dai rischi di una significazione unilaterale; l'enigma è evocato e incorporato nell'opera, durante il suo farsi, grazie al riconoscimento della prossimità della pratica artistica con zone liminari dell'esperienza umana -zone al confine con l'impronunciabile, l'incomprensibile, l'irriducibile. La dimensione dell'enigma è già sempre presente nell'opera, essendo intrinseca agli stessi elementi e strumenti di cui essa si compone: "dobbiamo conoscere il nostro strumento artistico, il nostro corpo: è qualcosa che nasce invecchia muore. Questo mistero non possiamo ignorarlo quando danziamo". Non è necessario introdurre l'enigma nell'opera con trucchi intellettuali; esso è già lì, dove la presenza del danzatore non solo "afferma" ma anche interroga tutto ciò che ha, che è, che c'è nell'evento dell'opera.


3.7. Composizione, de-costruzione, alchimia

Quello che la realtà dice di sé attraverso l'opera è la costruzione nell'opera, e quello che l'artista dice di questa realtà è la composizione dell'opera.

Nella prassi artistica di Virgilio Sieni, gli aspetti drammaturgici e registici si delineano parallelamente al lavoro coreografico; non a tavolino ma grazie a un continuo rimodellamento dei materiali, aderente allo scaturire ed evolversi di intuizioni dalla concretezza delle prove.
Durante tutto il periodo di prove per lo studio di Visitazione si è continuato ad accumulare ipotesi su ipotesi riguardanti l'allestimento spettacolare (luci, tappeto, musica, costumi, spazi, posizionamento del pubblico), prefigurando situazioni completamente diverse; tutto questo si è mantenuto in uno stato di fluidità fino all'ultimo periodo di prove. "Molte cose si chiariranno solo negli ultimi giorni o negli ultimi minuti", ha risposto più volte Sieni alle incertezze dei danzatori.
Come la prima parte delle prove si è concentrata soprattutto sul lavoro corporeo-coreografico, man mano che il debutto si avvicinava è stato dedicato più tempo alla sperimentazione e risoluzione di questioni propriamente registiche. A questo scopo, come di consueto, Sieni ha coinvolto nel processo vari artisti di altre discipline, scegliendoli nel momento in cui le caratteristiche del lavoro e la sua dimensione cominciavano ad avere una fisionomia abbastanza precisa. Una contrabbassista e una costumista sono state invitate a seguire le prove per farsi direttamente un'idea del lavoro, e quindi hanno cominciato a fare proposte, in parte in modo autonomo, in parte seguendo le indicazioni di Sieni.
Man mano che nuovi elementi scenici venivano messi in prova –almeno come ipotesi-, l'opera si trasformava spontaneamente e organicamente: nella concezione di Sieni, l'opera è sostanzialmente un'unità che possiede una sua logica e una sua vita, ha le sue esigenze, al di là della comprensione e delle intenzioni delle singole persone che ci lavorano. Ricollegandoci alle riflessioni su luogo ed evento, possiamo anche dire con Heidegger che "le cose stesse sono i luoghi e non solo appartengono a un luogo".

Da questo breve itinerario nel lavoro di Virgilio Sieni risulta evidente che l’attività di costruzione e composizione dell’opera è un complesso e imprevedibile percorso tra orientamento e disorientamento, lungo il crinale che separa (e collega) l’intuizione improvvisa e il progetto meditato, il riconoscimento di ipotesi già formulate e l’abbandono del già noto in favore dell’inaudito -il quale, mentre viene accolto, opera una trasformazione in chi lo accoglie. La struttura dell’opera attraversa varie fasi di costruzione e decostruzione, nell’intento di superare la solidità delle intenzioni autoriali iniziali e destinare l’opera a una coerenza ulteriore e altra, all’insegna della fragilità e dell’assoluta necessità artistica insieme.
L’ispirazione dell’opera, appena iniziato il lavoro, è come sdoppiata in due luci o visioni: illuminazione iniziale da realizzare -e immancabilmente tradire- e bagliore lontano che, dal futuro approdo del compimento dell’opera, indica la direzione da seguire; le vie per svolgere questo percorso non sono semplici né lineari; ma per contro, ogni deviazione o smarrimento arricchisce il tracciato dell’opera di cammino, umano e artistico. Si tratta di viandare e girovagare, con spirito pionieristico, in tutte le direzioni possibili racchiuse nell’orizzonte dell’opera; una cartografia di questo territorio viene disegnata e ridisegnata attraverso il lavoro, nell'errare della comunità degli artisti coinvolti; e tutto questo si stratifica nello spessore –in definitiva insondabile- dell’opera.

La danza può dar vita a un'alchimia di movimenti capaci di trasformare le forze emanate dallo spazio, ma perché questo succeda è necessario che l'idea e il metodo di composizione maturino insieme alla definizione del movimento: è da qui che nasce la necessità [...] di smembrare la costruzione drammaturgica e per lasciare spazio all'oralità e alla possessione.

Qui vediamo riuniti in un'unica “formula” tutti gli elementi che abbiamo indicato come fondamenti del processo artistico: danza, alchimia, energia (forze), spazio, composizione, movimento, oralità. Questa specie di equazione del processo coreografico mostra l'interdipendenza di tutti gli elementi, in una prospettiva artistica, ma anche oltre-artistica, che potremmo definire, con Sieni alchemica e olistica, tesa indefinitamente verso la profondità dell’esperienza, ma anche verso l’ampiezza nei riguardi dell’umano e delle sue manifestazioni.

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