blog di Carlo Cuppini

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domenica 7 novembre 2010

L'Uomo che cade, l'Uomo che vola

L'uomo che cade di Don De Lillo è un romanzo-mosaico, in cui ogni tassello che compone l'immagine complessiva è anche un microcosmo concluso in se stesso. I brevi scorci che si offrono sfiorano spesso la prosa poetica, più ancora che in altri romanzi di De Lillo. Tutta una nebulosa di immagini, personaggi e situazioni ruota intorno all'idea centrale del trauma; quasi ogni frammento narrativo si origina dal contraccolpo di un trauma, in un gioco di rimbalzi tra livelli che si richiamano a vicenda: da quello storico-epocale del crollo delle Torri a quello intimo e individuale, dove una mancanza irrisolta risale all'infanzia, fino al minimalismo degli accadimenti microscopici della giornata. Trauma su trauma, le cose accadono. Come sempre, in maniera quasi dantesca (passando attraverso Auerbach), De Lillo spiega il mondo attraverso simboli che si concretano in "figure". Né realismo né allegoria, quindi, o forse entrambi.
Dall'osservazione maniacale, rallentata, passata al microscopio, del movimento di un polso, si passa a una riflessione sul tempo, sulla morte, sulla storia, su dio. E, come sempre in De Lillo, il basso continuo è una profonda, problematica riflessione sul ruolo dell'arte contemporanea nella possibilità degli individui e delle comunità di appropriarsi di qualche frammento di senso, almeno provvisoriamente, riguardo al mistero dell'esistere. Qui l'affaccio nella sfera dell'arte in senso stretto consiste nelle ripetute apparizioni di Falling Man (da cui il titolo): un acrobata che svolge performance estreme, gettandosi senza protezioni e senza permessi dalla cima di edifici nel centro di New York, tenuto solo da un'imbracatura rudimentale, a ricordo dei tragici voli dalle Torri Gemelle prima del crollo. Il fulcro intorno a cui ruota il romanzo sembra essere proprio una famosa fotografia di uno di questi voli, che viene più volte evocata e anche minuziosamente descritta: un uomo in camicia in caduta libera, a testa in giù, perfettamente perpendicolare a terra, tenuto in una postura composta, con le braccia lungo il corpo come se fosse normalmente in piedi, salvo per un ginocchio piegato come se stesse per salire su un gradino.

Oggi la "Domenica del Sole" recensisce il libro Questo bacio vada al mondo: un romanzo che ruota intorno alla storia, vera, di Philip Petit, acrobata e contestatore francese che nel 1974 riuscì a montare segretamente un cavo tra la cima della due Torri Gemelle e quindi a compiere la traversata che lo rese famoso. Il giornale presenta una foto dove Petit ha appena compiuto il primo passo sul vuoto.
Aprire a caso il giornale su questa pagina, vedere questa immagine, decodificarne il senso, e poi cercare di capire di che evento reale o immaginario si trattasse, mi ha lasciato in una bolla di stupore: come se qualcosa non mi tornasse: come se non riuscissi a capacitarmi che questa foto del '74 veniva prima, e non dopo, la foto dell'uomo che cade nel 2001.
Ho riletto l'inizio dell'articolo almeno tre volte. Poi sono tornato a fissare lo sguardo nell'immagine, così naturale e pregna di significati da ricordare un'opera di De Dominicis. Tutto ciò che sapevo su essa continuava a cancellarsi: e tornavo a vederla come un risarcimento rispetto alla caduta dell'altro uomo. La mente prende delle iniziative, manomette la realtà, la riscrive. Forse poi la realtà non è altro che il risultato di questa manomissione, a livello globale e collettivo.
Questa riscrittura contro cui cercavo di oppormi però non era dettata da una sorta di sentimentalismo morale: quanto dall'emergere di una sorta di funzione logica alternativa. Se vediamo un asino che vola penseremo qualunque cosa prima di accettare che c'è un asino che vola. La mente avvierebbe un complesso processo di valutazione di dati e teorie, teso a smentire i dati sensibili immediati. Se poi l'asino volasse davvero, forse alla fine ci crederemmo davvero, ma a costo di una grande, faticosa rinegoziazione di tutti i parametri su cui si basa la nostra vita.
Le Torri Gemelle con l'Uomo che cade, le Torri Gemelle con l'Uomo che vola. Qualcosa di molto segreto e sfuggente dentro di me ha cercato insistentemente e pazientemente di ristabilire questo ordine della sequenza, a mia insaputa prima, mio malgrado poi. Cosa volevo ricostruire? Quale scampolo di tessuto, in parte interiore in parte no, volevo rammendare? Non so. Non so se quella parte di me ha accettato tuttora, che l'Uomo che cade è caduto 26 anni dopo che l'Uomo che vola ha volato. Nello stesso luogo.

Al termine di questi appunti, emerge un'altra cosa che mi sorprende: il libro di De Lillo parla anche di questo. I frammenti narrativi sono abitati anche da tre bambini che passano le giornate dopo l'11 settembre a scrutare il cielo con un binocolo, cercando di vedere gli aerei, che torneranno e faranno cadere le Torri per davvero. "Ma le Torri sono già cadute per davvero, lo sapete", dice a un certo punto la madre di uno, spaventata dalla loro recita troppo seria e troppo prolungata. "No", risponde il figlio, "Ma torneranno, e riusciranno a farle cadere".

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