blog di Carlo Cuppini

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sabato 27 ottobre 2012

bollettino #18: miriadi (giorno)

– miriadi di farfalle minuscole, bianche, hanno preso d'assalto la casa, mosche bianche, di notte, al cambio dell'ora solare, ma il sole non c'entra, a quell'ora non c'era, era buio, pesto, pestato, accecato, e l'ora è cambiata, scattata, scoccata, le bianche farfalle discese, dal nero, profondo, del cosmo, dietro il sole, con zampe minute hanno preso la casa, agganciato tegole, grondaie, davanzali, con minimo sforzo, ognuna un solo battito d'ali, l'edificio staccato dal suolo, strappato alle cantine, rimaste buchi scoperchiati, a riempirsi di pioggia, battente, incolore, la casa divelta senza traumi, strappata alla fondamenta, rimaste infondate, staccata dal rasoterra, dalla crosta, terrestre, mosche cattive, incolori, mosche di morte, bianche di cecità, di notte –                   la casa sospesa a mezz'aria, a dieci metri da terra, oscilla con grazia, lieve mal di mare, generale, dai balconi si vede il paesaggio, oscillare, le mosche battono le ali, con gentilezza, lenti battiti, sono grandi come un frammento, di unghia, tagliata, caduta per terra, rimasta sul pavimento, scampata per puro caso allo sciacquone, appena un millimetro –            se tre o quattro mosche, bianche, distratte, mollano il tetto, si cade, di nuovo nell'ora legale, sulle cantine, si schiaccia il fondamento, del quadrante, l'orologio, le cifre tatuate sul polso, sul polsino, dove si scrive, di tutto, anche "l'amore", anche "legale", e "solare" –              e dicono che si può scrivere, "amore", e "legale" e "solare", lo si può scrivere, e dire, raccontare, a questo serve la parola, che la lingua non è un muscolo, è un utensile, dicono il mestolo, il colabrodo, per dire "ti amo", o "contare"–                 la lingua è una bestia gigante, interrata, sottratta alla vista, morta e sepolta, enorme, vivente, un corpo ancestrale, senza occhi, dietro il sole, tutta pelle, e bocche, arti, e organi oscuri, metamorfici, animale, leviatano, che si scuote nella mente, si agita in fondo alla notte, si divincola alla luce del giorno, che non puoi vedere, a causa dell'ora legale –                Felice Baum suona alla porta, di prima mattina, nel giorno di pioggia, fradicio sullo zerbino, allunga la mano, porge qualcosa, l'ora perduta, l'orologio, smarrito, tempo fa, chissà dove, l'ha trovato – se non sai più leggerlo, affari tuoi – lo rigiri, lo indossi, lo slacci, è tempo di fare la muta, tornare dal pozzo, luminoso, lui gira i tacchi, senza una parola, se ne torna, nel tempo, è una giornata di pioggia, finissima e luminosa –                 oltre la cerchia delle farfalle, oltre l'oceano di pioggia, gli uccelli strillando, il giorno –

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