Credo che questo sia il momento giusto per rimescolare le carte, per scrollarsi di dosso tutte le etichette con cui si è cercato di banalizzare e polarizzare il dibattito per un anno e mezzo (o di disinnescarlo proprio, criminalizzando le posizioni critiche), per andare oltre le precedenti prese di posizione e in definitiva per rigettare le divisioni che sono state artatamente create, per riconoscersi comunità nazionale.
Credo che sia il momento giusto per riconoscere che c'è solo una divisione, e non riguarda il vaccino, le convinzioni politiche, l'esperienza che si è avuta o non avuta del covid o altro: la sola differenza che oggi ha senso considerare è quella tra chi ritiene che questa emergenza perdurante (e tutte le possibili future emergenze di origine naturale o umana) vada affrontata con il massimo riguardo per il diritto e facendo salva l'unità – in primis morale – della comunità nazionale; e chi invece ritiene che, a fronte di una emergenza, tutto ciò che promette di funzionare va considerato legittimo, a prescindere dal diritto e dall'onere della prova relativo all'efficacia delle misure adottate dai decisori.
Come ho più volte scritto, questo ultimo approccio è una declinazione del paradigma tecnocratico, che trova un inaspettato inveramento storico grazie all'emergenza covid: "ciò che può essere fatto, deve essere fatto".
Vogliamo davvero validare questo paradigma e affidare a esso il futuro della cosa pubblica?
L'alternativa è una sola: inaugurare una discussione tra tutti - ma libera da pregiudizi, delegittimazioni ed emotività tribale suscitata dai media - per riabilitare in pieno la democrazia e attualizzarla, decidendo collettivamente dove stanno i paletti invalicabili e quali garanzie e prove devono essere fornite da chi ritenga necessario limitare diritti individuali e consuetudini sociali, e si accinga a farlo esercitando il potere che gli è conferito.
Oggi dobbiamo fare uno sforzo per andare oltre la mentalità che ha dominato finora e per liberarci dagli schemi divisivi attraverso cui ci hanno spinti a "confrontarci": esploriamo concetti nuovi, pensieri nuovi e parole nuove. Il linguaggio è una potenza autoctona: non limitiamoci a recepirlo e a ripeterne i clichè, finendo per essere parlati da altri, mentre crediamo di esprimere noi stessi.
Oggi, chi dissente dal corso attuale della gestione pandemica, deve trovare una via inclusiva e aggregativa, e le anime del pensiero critico devono cercarsi, riconoscersi, rifondarsi in un insieme plurale e dinamico, capace di riconoscere i comuni denominatori e valori.
Creiamo un clima e un momento reale di incontro, di confronto e di elaborazione.
Lavoriamo per questo, da domani, da oggi stesso, ognuno come può.
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