"Son queste alcune delle considerazioni che mi portano a rimettere nelle tue mani, a far data da oggi e senza alcuna possibilità di ripensamento, l’incarico di vicedirettore del Conservatorio: per non sentirmi in qualche modo, come rappresentante dell’Istituzione, corresponsabile moralmente. Certo: è necessario rispettare le leggi, ma si può, e per quel che mi riguarda si deve, almeno prenderne le distanze e denunciarne l’anomalia e l’aberrazione se si ritiene, in scienza e coscienza, che vi siano."
Dopo la lettera di Marco Villoresi, professore dell'Università di Firenze, di cui ho dato conto qualche giorno fa, abbiamo assistito a un'altra ferma e drammatica presa di posizione, che anche in questo caso coincide con la rinuncia a un ruolo prestigioso, conquistato con tempo e fatica: quella di Stefano Leoni, vicedirettore del Conservatorio G. Verdi di Torino.
Una cosa che mi colpisce è che la lunga, serena, argomentata lettera con cui Leoni motiva il suo gesto, richiama la lettera di Villoresi, dalla quale (so che è così) ha tratto non certo l'impulso essenziale, ma maggiore forza e determinazione.
È il contagio della dignità. Un cuore che crede di sussultare solo nelle tenebre, stretto soltanto a se stesso, e invece ascolta la risposta di un altro cuore, che compie un uguale, consonante sussulto.
Siamo smarriti, sconvolti e spaventati. Ma non siamo soli. Quindi esiste ancora qualcosa.
Vi prego di leggere e di diffondere la lettera del prof. Stefano Leoni. Per esprimergli solidarietà, e per contribuire a diffondere il contagio del coraggio e della dignità.
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Stella Gameragna, 20 settembre 2021
Al M° Francesco Pennarola
Direttore del Conservatorio Statale di Musica G. Verdi
Torino - sua sede
oggetto: dimissioni dall’incarico di vicedirettore del Conservatorio
Caro Direttore,
in questo anno passato a lavorare fianco a fianco ho avuto modo di apprezzare la tua correttezza, l’equilibrio e il senso dell’istituzione, l’umanità e lo spirito che sovente hai dimostrato.
Mi trovo ora, con l’emanazione delle norme che limitano l’accesso alle strutture universitarie e Afam note come Green Pass, in una posizione difficile, che mi pone un grande problema di coscienza.
Di fronte alle narrazioni riguardanti la pandemia in corso e le cure o profilassi relative, sempre più si fanno in me strada i dubbi di opacità, tendenziosità, quando non di omertà o di effettiva disinformazione; anche in considerazione della prassi consolidata che ha riguardato appunto le “narrazioni” istituzionali che il sistema ha messo in atto nel Paese da diverse decine di anni in merito a accadimenti e periodi particolarmente critici del passato.
A prescindere però da ogni considerazione di questo tipo, che solo la Storia potrà forse chiarire, trovo che l’imposizione surrettizia di un obbligo alla vaccinazione o a pratiche comunque costose e invasive per l’accesso a luoghi di studio, di ricerca e di libera espressione del pensiero come le università, le accademie e i conservatori, rappresenti un arbitrio che, seppur fondato tecnicamente su norme di legge, non esito a definire eticamente disdicevole ed in contrasto proprio con i principi che il sistema educativo dovrebbe diffondere e difendere. In contrasto con quello che a mio giudizio dovrebbe essere un Istituto Superiore di Studi Musicali: uno spazio libero, aperto e inclusivo.
Inutile dire che rispetto ogni scelta personale in relazione alla vaccinazione o non vaccinazione, soprattutto se effettuata in libertà e con adeguata informazione di merito. Ma vedo intorno a me una deriva fatta di propaganda proterva e arrogante e di discorsi a senso unico, tesi a gettare discredito su ogni posizione critica, foss’anche la più garbata e scientificamente quanto metodologicamente corretta, una propaganda ultimamente mirata perfino a tacitare forzosamente ogni voce dissenziente, là dove il contraddittorio è sempre stato il sale della democrazia. La realtà è sempre complessa e come tale andrebbe indagata e letta, in primo luogo dalla scienza, per distinguere sempre la doxa dall’episteme, evitando le semplificazioni o gli slogan, nemici della ragione.
Se poi prevale la logica del maramaldeggiare, ne prendo atto con dispiacere, prima di tutto come cittadino.
Non arrivo a affermazioni come quella di Giorgio Agamben, che pur sento vicino come estetologo ad estetologo, ma credo che essa meriti un’attenta riflessione per l’oggi e per il domani; riflessione che ogni docente che si rivolge agli adulti del futuro dovrebbe fare: «L’Italia, come laboratorio politico dell’Occidente, in cui si elaborano in anticipo nella loro forma estrema le strategie dei poteri dominanti, è oggi un paese umanamente e politicamente in sfacelo, in cui una tirannide senza scrupoli e decisa a tutto si è alleata con una massa in preda a un terrore pseudoreligioso, pronta a sacrificare non soltanto quelle che si chiamavano un tempo libertà costituzionali, ma persino ogni calore nelle relazioni umane».
Per quel che rigarda la mia persona non ho preoccupazioni dirette: ho molta più vita alle spalle che davanti a me. Non vedrò il tempo in cui si chiariranno le cose, si capiranno le strategie, le tattiche, i giochi di potere ed economici, i vizi antropologici che da quasi due anni stanno imperversando. Ci vorranno ancora lustri per capire, per “svelare”, per indagare con la giusta prospettiva storico-critica.
Considero questa una crisi non semplicemente sanitaria, ma di sistema. Dell'amministrazione di questa crisi fa parte l'istituzione del certificato verde, che a mio avviso rappresenta, al pari di ogni analogo lasciapassare, uno strumento di restituzione condizionata, nella forma di concessioni, di quelle che precedentemente erano libertà.
La mia impressione, ovviamente da non-giurista, è che il c.d. “Green Pass” sia un abominio dal punto di vista legale, costituzionale, normativo (è in conflitto con gli artt. 3, 16, 32 della Costituzione Italiana e con il Regolamento U.E. 953/2021, n. 10), carente e confusionario sotto il profilo giuridico, giacché investe i Direttori Afam, i Rettori e Direttori di Dipartimento universitari di attribuzioni e competenze non di loro pertinenza. Non solo, è una forma surrettizia di coercizione e adesione forzata alla “campagna vaccinale”, istituendo de facto una pressione indebita su lavoratori (docenti, personale ATA) e studenti, inducendoli a sottoporsi all’inoculazione di un siero genico sperimentale dalla efficacia non ancora esattamente definita nella limitazione dei contagi e delle ospedalizzazioni e dagli effetti collaterali ignoti o colpevolmente ignorati (vedi la questione della farmacovigilanza passiva e non attiva).
Il certificato verde non sembra dirimente dal punto di vista della sicurezza sul posto di lavoro e di studio. Il rischio di contrarre e di diffondere la malattia nonostante l’immunizzazione comunque par bene esistere. Mi affido, da non esperto del settore, a fonti tendenzialmente accettate in termini istituzionali: la rivista «Nature» che sull’argomento dedicaunrecentearticolochecitastudi inquestosensodell’UniversityofWisconsin-Madison,dell’USCentersfor Disease Control and Prevention, dello Houston Methodist Hospital, dell’Imperial College di Londra ed altri.
Il c.d. Green Pass appare allora come uno strumento inadeguato per impedire il contagio, se ragioniamo di vaccinati. I tamponi, nella misura in cui i loro risultati sono istruttivi (e ci sono forti dubbi, anche formulati dall’OMS, al riguardo), dovrebbero essere non solo il meno possibile invasivi (cioè salivari), ma anche estesi a tutti a campione, inclusi i vaccinati, e gratuiti (come appunto i vaccini).
Ecco quanto sostenuto (tra gli altri) da Mariano Bizzarri della Sapienza di Roma: «il green pass non ha alcun fondamento scientifico e serve solo a discriminare chi non si vaccina». Lo stesso Andrea Crisanti, fautore della linea del governo, ha dichiarato: «Bisogna essere chiari e onesti con i cittadini, per evitare fraintendimenti. Perché sicuramente i casi non diminuiranno dopo l’implementazione» di questo strumento «e chi è contrario potrà dire che non serviva a nulla. L'utilità è convincere le persone a vaccinarsi». E si consideri l’ancor recente episodio riguardante i circa 50.000 partecipanti al Boardmasters Festival nel Regno Unito.
Se dunque rispetto le idee di chi pensa, in buona fede, che il dispositivo c.d. Green Pass nasca e viva in funzione dell'emergenza sanitaria, ritengo invece che esso rappresenti un veicolo attraverso il quale procedere all'infrastrutturazione di un sistema di controllo e di credito sociale che oggi ha un requisito obbligatorio di natura sanitaria, ma domani sarà capace di incorporarne altri e ulteriori.
Non sento alcun dovere morale di aderire a un sistema così concepito, che rappresenta comunque, anche volendo prescindere dalle intenzioni di coloro che lo hanno introdotto, un cavallo di Troia il cui contenuto è trasparente, per chi ne abbia studiato gli omologhi del passato. Il dovere morale che sento riguarda invece l'esercizio della mia professione di insegnante, che in accordo con l'articolo 54 della Costituzione sono tenuto a svolgere “con disciplina”, fino a quando quest'ultima non contrasterà con il requisito dell’ “onore” e con la fedeltà alla Costituzione stessa.
I docenti universitari e Afam e la didattica tradizionale sono oggi strumentalizzati per indurre i giovani a fare qualcosa che per essi potrebbe essere causa di danno sanitario superiore a quello che la “vaccinazione”, vale a dire il trattamento con un siero genico sperimentale e autorizzato in via emergenziale, pretenderebbe di prevenire. In altre parole, noi docenti siamo usati come specchietti per le allodole allo scopo di condizionare i nostri studenti a “vaccinarsi”, quando invece è loro diritto (riconosciuto a livello di leggi nazionali, europee e internazionali) deciderlo sulla base di un «consenso libero e informato».
In piena sincerità qui ti scrivo, nella consapevolezza che è anche la tua figura a essere investita e in non piccola parte snaturata da questo “nuovo corso”.
Son queste alcune delle considerazioni che mi portano a rimettere nelle tue mani, a far data da oggi e senza alcuna possibilità di ripensamento, l’incarico di vicedirettore del Conservatorio: per non sentirmi in qualche modo, come rappresentante dell’Istituzione, corresponsabile moralmente.
Certo: è necessario rispettare le leggi, ma si può, e per quel che mi riguarda si deve, almeno prenderne le distanze e denunciarne l’anomalia e l’aberrazione se si ritiene, in scienza e coscienza, che vi siano.
Condivido, con altri, quanto già sosteneva Sant’Agostino, quando scriveva che la legge non è distinguibile in alcun modo dall'arbitrio, una volta che viene separata dalla giustizia. Credo che ogni docente debba decidere come agire sulla base della propria coscienza etica e storica. Per quel che mi riguarda si tratta (citando il collega Marco Villoresi dell’Università di Firenze nelle righe che seguono) della «scelta di scegliere» indipendentemente dalle conseguenze, quella che «investe le condizioni di possibilità di ogni eventuale scelta, a partire dalla propria. Da qui la sua forza, ma anche la sua pericolosità e il suo rischio» (Giulio Giorello, Di nessuna chiesa. La libertà del laico). Sembra un atto di patetico integralismo intellettusale a vocazione pubblica, ma è tutt’altro: è un atto di necessità interiore, è la resistenza individuale, privata e obbligata, di chi intende, insieme alla sua libertà, conservare il rispetto di sé.
Nel ringraziarti per l'attenzione dedicatami, ti abbraccio con immutato affetto e stima e ti auguro buon lavoro
Stefano Leoni
docente settore CODM/03
Musicologia sistematica
Conservatorio Statale di Musica G.Verdi Torino
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