blog di Carlo Cuppini

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venerdì 7 aprile 2023

Una sentenza che è un'orazione civile

Vorrei richiamare l’attenzione sulla sentenza del 10 marzo del Tribunale Militare di Napoli (giudice Andrea Cruciani, relativa a un militare accusato di essere entrato nel luogo di lavoro senza green pass) per due motivi. Primo: i media non ne hanno fatto cenno (tranne una testata di cui non ho molta considerazione) come se fosse un fatto irrilevante, mentre io penso che avrà un peso nella storia giudiziaria del Covid, e per questo merita di essere conosciuta da chi si interessa a questo aspetto. Secondo: a prescindere dal potere che avrà di “fare giurisprudenza” sul tema del green pass e degli obblighi vaccinali, il testo costituisce una vibrante orazione civile che a mio avviso merita di essere letta, meditata, diffusa. 

Per quello che mi riguarda, alcuni passaggi andrebbero letti nelle scuole.

Il testo è piuttosto lungo (20 pagine), molto argomentato, documentato e fitto di riflessioni e considerazioni contestuali. Dal punto di vista tecnico, per quello che posso valutare da profano, è estremamente solido; ma in questo senso non costituisce una novità assoluta rispetto ad altre sentenze (richiamate nel testo) che sullo stesso tema sono andate nella medesima direzione: assolvendo l’imputato e condannando invece la misura del green pass e/o l’obbligo vaccinale. 

La forza di questa sentenza a mio avviso si trova sul piano letterario, per così dire: laddove esprime la tragedia di una società divisa, squartata dalle misure massimaliste e ciniche prese da un governo che non ha guardato in faccia a niente e a nessuno, nemmeno ai minorenni e agli adolescenti. Vediamo qui un giudice che non ha paura di prendere nettamente le distanze da uno specifico pronunciamento della Corte Costituzionale, motivando in dettaglio, con grande lucidità e con altrettanto vigore, la propria decisione. In queste pagine leggiamo una lezione su quali rapporti dovrebbero sussistere, in uno stato di diritto, tra l’ambito del diritto e quello della scienza; ascoltiamo un accorato appello a rimettere al centro dell’operato delle istituzioni i valori centrali della Costituzione, a partire dalla dignità della persona e del lavoro; il quale, a valutare dalle disposizioni e dal pronunciamento della Consulta di ottobre, sembra essere stato ridotto, implicitamente, a fatto accessorio: lavoro come lusso di cui un cittadino può essere privato anche in assenza di stringenti motivazioni.

Tecnicamente, il cuore della sentenza si riassume facilmente: il militare è assolto perché il fatto non sussiste, cioè non si dà il caso dell’offensività della condotta. In parole povere, il fatto che il militare non vaccinato sia entrato nel luogo di lavoro per timbrare il cartellino non ha determinato un rischio di contagio maggiore rispetto a quello causato dalla presenza dei colleghi entrati esibendo il green pass. E questo in considerazione del fatto che il vaccino non è garanzia di non infettarsi e di non infettare: non lo è mai stato, e meno che mai lo era – dati ufficiali alla mano – nei lungo autunno-inverno del green pass e del super green pass.

Si può dire che il green pass abbia costituito riduzione del rischio, in qualche misura, a livello statistico; per quanto un non vaccinato e un vaccinato da più di tre mesi avessero e abbiano la stessa identica possibilità di infettarsi (se ignoriamo i dati emersi da settembre scorso sull’immunità negativa, almeno in apparenza, dei vaccinati con la terza dose). Ma questa ipotetica riduzione statistica di certo non consente di considerare proporzionato la negazione del lavoro e della retribuzione di un individuo.

Caso mai servisse la “prova del nove”, basta notare che l’Italia del green pass e la Spagna senza green pass sono uscite in modo identico dalla pandemia (la Spagna prima, e meglio, caso mai).


Del resto, anche se la sentenza non la cita, non si può non ripensare alla nota ufficiale dell’Associazione Nazionale Medici Aziendali, risalente al settembre 2021, all’alba quindi dell’epoca del green pass, che dichiarava nel modo più netto che quello strumento non era assolutamente idoneo a garantire la sicurezza epidemiologica sui luoghi di lavoro, e che, non potendo realisticamente sottoporre tutti i lavoratori a tamponi quotidiani, l’unica reale forma di sicurezza sul lavoro erano i protocolli già in vigore: sanificazione, igiene, distanziamento, mascherine, aerazione…

Chi mai dovrebbe intendersi di sicurezza sui luoghi di lavoro, se non l’Associazione Nazionale Medici Aziendali? Eppure la loro nota è stata ignorata dal governo "dei migliori”, dal governo del “comanda la scienza”, dal governo progressista, democratico, per metà aspirante “laburista”; ignorato, al pari della richiesta di Amnesty di garantire a tutti, anche ai non vaccinati, tutte le opportunità, a partire dal diritto al lavoro; ignorato, come la risoluzione del Consiglio d’Europa 2361/2021 che, in piena pandemia, e agli albori della campagna vaccinale, chiedeva a tutti gli Stati di non discriminare i non vaccinati e di non esercitare pressioni per spingere alla vaccinazione: “7.3.1. ensure that citizens are informed that the vaccination is NOT mandatory and that no one is politically, socially, or otherwise pressured to get themselves vaccinated, if they do not wish to do so themselves;  7.3.2. ensure that no one is discriminated against for not having been vaccinated, due to possible health risks or not wanting to be vaccinated”. (Il NOT è in maiuscolo nel testo originale).


Forse questo giudice sarà considerato un visionario, un anti-vaccinista, un provocatore; e anche un terrapiattista-fascista-trumpiano-putiniano… perché così funziona la censura oggi: delegittima e rende grottesco, innescando ovunque l’efficientissimo e gratuito meccanismo dell’autocensura. 

Ma allora come mai nel merito medico/scientifico la sua posizione coincide con quella dei Medici Aziendali? E come mai le sue considerazioni etiche, politiche e di principio convergono con quelle del Consiglio d'Europa e di Amnesty International?

Il punto è che se considerassimo valide le considerazioni scientifiche dei Medici Aziendali e quelle etiche/politiche di Amnesty e del Consiglio d’Europa, cioè se avesse ragione questo giudice, allora sarebbe inevitabile rileggere l’operato della draghisfera (intendendo non solo il suo governo, ma tutto ciò che ha approvato le sue misure, dal Presidente della Repubblica ai partiti della maggioranza e non solo, agli editorialisti, agli influencer, ai singoli cittadini assenzienti) come la più brutale, irrazionale, ingiustificata manifestazione di autoritarismo che la Repubblica abbia conosciuto dalla sua nascita.


Deve essersi trovata proprio di fronte a questo dilemma, la Corte Costituzione, nel momento in cui è stata chiamata a esprimersi sulla costituzionalità degli obblighi e del green pass. Lo scrivevo in un post (“Il dilemma del giudice”) alla vigilia del pronunciamento del 30 novembre scorso: salvare il governo, il Presidente della Repubblica, l’80% della classe dirigente, del mondo partitico, istituzionale e mediatico, o affermare la semplice razionalità e la semplice giustizia applicando il dettato Costituzionale? Era ovvio che la scelta sarebbe stata la prima. Il green pass sarebbe potuto essere fermato a monte, come hanno fatto le Corti Costituzionali spagnole, senza distruggere lo Stato; ma di certo non era possibile valutarlo con oggettività a cose fatte, poiché nessuno Stato potrebbe permettersi di affrontare lo tsunami che ne deriverebbe: tutto verrebbe spazzato via. E quindi… ”To big to fail”, per così dire. A costo di distruggere la credibilità della Corte Costituzionale.

Il giudice Cruciani va al fondo di questa contraddizione, e la Corte Costituzionale, appunto, ne esce molto male. Nella sentenza sono richiamati i precedenti pronunciamenti della stessa Corte in merito a obblighi vaccinali, trattamenti sanitari obbligatori ecc., e si mostra che per arrivare a definire “non irragionevole” l’obbligo del vaccino anti-covid e il green pass è stato necessario arrampicarsi in modo grottesco (dico io) sugli specchi. Clamoroso il seguente passaggio: in passato la Consulta ha decretato che gli obblighi sanitari sono legittimi soltanto quando gli eventuali effetti avversi sono definibili “tollerabili”, cioè temporanei e lievi; adesso quindi, per legittimare l’obbligo di vaccino anticovid, decide che questi trattamenti sono da considerarsi “tollerabili” in virtù del fatto che, in caso di reazioni gravi (anche fatali), danno diritto a un indennizzo.

Qualcuno riderà, ma c’è poco da ridere. Quando la Corte Costituzionale decide di perdere completamente la sua credibilità in nome delle convenienze politiche, lo scenario è tragico e i cittadini restano orfani delle istituzioni più alte. Restano cioè senza garanzia di giustizia.


Si legge nella sentenza di Napoli: “Questo giudice si discosta invece da tale ultima interpretazione della Consulta, ritenendo che le menzionate statuizioni della consolidata e pregressa giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale (…) anche utilizzando il mero criterio ermeneutico letterale, vadano interpretate in tutt’altro modo, e più precisamente nel senso che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. solo se gli unici effetti negativi prevedibili siano temporanei, di scarsa entità e tollerabili. Giammai quindi allorché effetti avversi gravi, irreversibili e finanche fatali fossero prevedibili. (…) Un trattamento sanitario obbligatorio inteso in tal senso, ad avviso d questo Giudice, violerebbe ‘i limiti imposti dal rispetto della dignità umana’ (art. 32 Cost.), risultando disumano.”


Del resto Giuliano Amato, presidente della Corte Costituzionale fino al settembre 2022, lo aveva detto chiaramente in conferenza stampa il giorno stesso della sua elezione (29 gennaio 2022): “La giurisprudenza della Corte costituzionale, nelle materie in cui la Scienza ha un peso, è di ascoltare le ragioni della Scienza.” Una frase che appare folle, un non-sense degno di Lewis Carroll, se pensiamo che la scienza, soprattutto sulle situazioni nuove e in via di svolgimento, non ha *una* voce, ma molte voci, spesso contrastanti, e procede per ipotesi diverse e anche contrarie, le quali vengono dibattute e ridotte via via che si accumulano dati e conoscenze conclusive. Quella maiuscola usata da Amato nel tweet fa di quel complesso ambito del sapere umano che è scienza un totem, una divinità inesistente, davanti alla quale inginocchiarsi tacendo. E non esistendo una divinità del genere, con un nome del genere, è del tutto evidente a cosa si riferiva Amato: alle autorità scientifiche statali, che invece esistono. Infatti la sentenza della Consulta fa riferimento all’ISS: non ai dati dei vari rapporti pubblicati, passati magari al vaglio della ragione, ma a qualche affermazione apodittica scritta in qualche paragrafo introduttivo (tipo che i vaccini sono molto efficaci nel prevenire l’infezione).

Non importa se oggi i vertici di quelle stesse istituzioni risultano indagati con una serie di gravi capi di imputazione; non importa il torbido che, anche al di là degli eventuali rilievi penali, è emerso dalle intercettazioni messe agli atti e pubblicate nelle scorse settimane; non importa se tre ricercatori dell’ISS hanno pubblicato uno studio che si discosta nettamente dalla posizione ufficiale dell’Istituto in materia di strategia vaccinale, alla luce di un rapporto rischio/beneficio da rivalutare urgentemente.


Scrive il Giudice a pagina 10 della sentenza: “Il Giudice quindi non può limitarsi a recepire passivamente e supinamente dei dati scientifici ancora non definitivi e provvisori, sia pure se provenienti dalle autorità nazionali ed internazionali preposte alla ricerca scientifica, con apodittici richiami a tali dati. Al contrario il Giudice è tenuto ad operare un vaglio critico su tali dati, debitamente illustrando quale ipotesi scientifica ritenga applicabile al caso concreto e per quali motivi.”

Che differenza con la tautologia salva-potere di Giuliano Amato!


Evidentemente, la priorità assoluta delle istituzioni è tutelarsi a vicenda, a qualunque costo. La loro specifica missione tecnica (tutelare la salute pubblica, garantire il rispetto del dettato costituzionale...) entra in gioco soltanto se e quando il primario obiettivo è stato raggiunto. Ricordate? Speranza: "Conviene non dare troppe aspettative positive", Brusaferro (ISS): "Allora non mistero i dati che ti ho inviato". E ancora, Sileri (viceministro della Salute): "I giornalisti mi chiedono e io devo mentire per rispetto alle istituzioni". E ricordate Remuzzi che, dopo avere dimostrato che l'uso sistematico degli antinfiammatori avrebbero ridotto del 80-90% le ospedalizzazioni, si spertica in elogi al governo, pur avendo questo - insieme ad Aifa - sempre sorvolato sul ruolo degli antinfiammatori, equiparandoli implicitamente al paracetamolo e indicandoli nei protocolli terapeutici solo per il trattamento sintomatico della febbre e dei dolori, e non per la loro dirimente funzione appunto di evitare un possibile decorso grave della malattia infiammatoria. Eppure tutto - TUTTO - è stato fatto, e qualunque costo sociale è stato sostenuto, per evitare che il numero enorme di ospedalizzazioni facesse saltare il sistema sanitario; e nella seconda fase le restrizioni e il cambio di "colore" scattavano proprio sulla base della percentuale di letti occupati negli ospedali...


Nella sentenza segue una parte sulle reazioni avverse, in cui il giudice valuta giustificata la scelta di non vaccinarsi in virtù dello “stato di necessità”: necessità di tutelarsi dal reale rischio di incorrere in una reazione avversa grave, anche letale, quale che sia la sua probabilità. 

Ma questo aspetto, personalmente, mi interessa meno, e vado alla riflessione conclusiva sulla dignità della persona e sulla centralità del lavoro nella nostra Costituzione e nella nostra democrazia.


Leggendo questa parte mi sono venute le lacrime agli occhi, e non in senso metaforico. Le parole scritte nero su bianco dal giudice Cruciani mi hanno commosso profondamente. Hanno sciolto una contrattura civile che mi portavo dentro da mesi, la stessa che mi ha reso dolorosamente estranei amici, parenti, conoscenti; la stessa contrattura che ha spinto me e tanti altri a forme di protesta radicali, fino allo sciopero della fame. Le parole di questo giudice, scritte e pubblicate adesso che l’onda è passata, mi fanno pensare che non tutto è stato travolto e portato via, e che anche in futuro ci sarà chi sarà pronto a resistere al fascismo trasparente, quello che non puzza di olio di ricino, che non dice mai una parola politicamente scorretta e frequenta tutti i salotti internazionali giusti.

In questo senso parlo di orazione civile.


“Ci si deve necessariamente e nuovamente discostare da quanto pur sostenuto nella citata sentenza della Corte Costituzionale (…) allorché si afferma che: ‘l’obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all’obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge.’ Una tale interpretazione, esasperatamente formalistica e cinica, finisce anche per svilire la centralità che la stessa Costituzione attribuisce al lavoro, quale imprescindibile mezzo di sostentamento e di sviluppo della persona umana.”


“Questo Giudice intende piuttosto adottare un’interpretazione costituzionalmente orientata (…) Sul lavoro infatti si fonda non solo la dignità professionale ma anche la dignità personale dell’essere umano che vuole mantenersi con le proprie forze, costituendo il reddito da lavoro per lo più il reddito di sussistenza, senza il quale si scivola nel degrado e nella dipendenza. (…) Il lavoro, quindi, per una persona che intende vivere una vita libera e dignitosa, non è una scelta, bensì una necessità. Non vi è dunque margine di scelta alcuno per il lavoratore, il quale se vuole continuare a sopravvivere dignitosamente, si vede costretto a sottoporsi al trattamento sanitario obbligatorio, essendo previsto, per il caso di non adempimento, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.”


Dunque il Giudice dichiara “non luogo a procedere (…) perché il fatto non sussiste.”


Qui si può leggere il testo integrale della sentenza.

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