blog di Carlo Cuppini

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domenica 31 gennaio 2021

Poesia come Annunciazione

Un parte del libro Quando le volpi puniscono gli uomini è intitolata Intervallo (aperture alari): contiene sette testi che nascono dalla visione di una serie di dipinti dell’Annunciazione (medievali e rinascimentali). Mi ci sono voluti dieci anni per completarli e per decidere di pubblicarli.

I dipinti dell’Annunciazione fino al XV-XVI secolo sono spesso informati da un senso arcaico del sacro che sulla tavola si fa schema iconografico e corpo della pittura. Ne rimango folgorato. Davanti a queste opere provo un ammutolirsi del pensiero - la cui energia è spinta a sublimarsi nella forma della preghiera (per quanto trovi un terreno ateo su cui librarsi). Ciò che mi percuote è il rispecchiarsi - che nella rappresentazione simbolica diventa un fatto reale, che agisce potentemente nella mente dell’osservatore - di dimensioni opposte, incommensurabili, eppure congiunte: visibile-invisibile; materiale-immateriale; umano-angelico; parola-corpo; figurazione-simbolo, interiorità-storia; intimo-politico; essere figlio-essere genitore.

L’incontro inaudito e ineffabile si compie grazie a quello spazio vuoto posto tra le due figure: questo incontro costituisce il senso stesso dell’Annunciazione (che annuncia cosa? la vita? il reale?). Lo spazio vuoto tra Angelo e Maria è la cesura del plausibile, la discontinuità tra i piani di senso, l’intervallo trasformante che spezza la continuità figurativa, discorsiva, aprendo ogni frammento - ogni frase, ogni pensiero possibile - all’eventualità di un incastro, per corrispondenza dei bordi sfrangiati, con altri frammenti, con sviluppi e innesti in origine impensabili.

L’Annunciazione non racconta una storia, e non fonda la Storia. Ciò che viene annunciato è impermanente, è l’impermanente, ciò che esiste soltanto nel momento in cui viene annunciato. Tuttavia, l’Annunciazione può essere il senso stesso dell’istante, nella rinuncia alle impalcature, alla funzione identitaria ed auto-ereditaria del linguaggio, all’attività predatoria che il potere esercita attraverso l’adozione, da parte nostra, dei suoi stilemi e nessi e filtri preimpostati di significato.

In questo senso l’Annunciazione - voglio dire, la poesia - è un fatto politico, senza che esprima pensieri sulla politica: è il disinnesco di quell’ordigno bellico, che incessantemente troviamo interrato nel nostro giardino nel momento in cui usciamo di casa.

Ognuna della poesie di questa sezione è doppia e speculare, come binario (a vari livelli) è lo schema iconografico dell’Annunciazione: un testo sta nella pagina di sinistra allineato a destra, uno sta nella pagina di destra allineato a sinistra. Emerge una forma che di volta in volta ricorda un cuore, una foglia, due ali (“apertura alari”), due mani, una macchia di Rorschach. La lettura deve procedere da un impatto visivo, procedendo in senso spaziale, con gli occhi che seguono liberamente le linee di forza, andando avanti e indietro, in ogni direzione, non seguendo la linea temporale dello svolgimento del discorso da sinistra a destra e dall’alto in basso. Come per un dipinto, non c’è un ordine di lettura prestabilito: ogni poesia è un ecosistema di frammenti di simboli, uno spazio di rovine assediate dai rampicanti, percorribile in qualunque direzione, finché non emerge qualcosa, finché si vuole. Finché l’angelo non si volta e scompare.

(Un’ultima nota: ognuna di queste poesie corrisponde e risponde formalmente anche al libro aperto sul grembo di Maria. Facendo finta di non conoscere la risposta filologica, la poesia lascia sorgere la domanda: quali parole dovrebbero essere scritte su quella doppia pagina che appare nel dipinto, perché siano coerentemente parte di questo “misterium conjunctionis”?)




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