blog di Carlo Cuppini

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venerdì 5 febbraio 2021

Di cosa parliamo quando parliamo di scienza (e del CTS)

Articolo pubblicato su www.radiocora.it

Lanno primo dellepoca pandemica è stato caratterizzato da un caotico rimescolamento e sovrapporsi di ambiti dellesistenza e della conoscenza tradizionalmente distinti – ancorché spesso contigui – sui quali ha dominato qualcosa di non ben definito che è stato talvolta identificato – da media, politici, amministratori, commentatori, scienziati – con la locuzione la scienza”. Mi sembra importante e urgente che si sviluppi una riflessione su questo tema in generale, in senso culturale, e nello specifico dellattualità che ci riguarda più da vicino. Il mio contributo consiste in una serie di domande e in alcune considerazioni.

DOMANDE:

  • Di cosa parliamo quando parliamo di scienza?
  • Quali sono le differenze – metodologiche e di collocazione allinterno del sapere e dellesperienza umana –  tra scienze esatte, naturali, umane, sociali, statistiche?
  • Quali sono i rapporti tra le scienze e le tecniche?
  • Cos’è la medicina? Una scienza, una tecnica o un insieme di tecniche basate su una serie di scienze (e anche su altri saperi)?
  • Nello spazio concettuale tra evidenze scientifiche, metodo scientifico, tecniche, politica, dove si collocano esattamente le politiche sanitarie?
  • Nella attuale situazione (fronteggiare una malattia infettiva nuova e relativamente sconosciuta), cosa pertiene alle scienze (e a quali delle scienze), cosa alla medicina, cosa alle politiche sanitarie e cosa alla politica tout court?
  • Quale tasso di complessità sta nello spazio compreso tra le opposte e speculari deformazioni cognitive con cui abbiamo avuto a che fare nei mesi scorsi, riassumibili in la scienza non è democratica” e “basta scienza”?
  • Quali sono il ruolo e la posizione della cultura scientifica nelle società contemporanee?
  • In particolare, qual è il ruolo della cultura scientifica rispetto alla politica, ai principi giuridici e alla cultura democrazia?
  • Che cos’è stato storicamente lo scientismo? Si può dire che abbia qualche corrispettivo oggi?
  • Esistono dei paletti che, se scavalcati, trasformano la scienza in ideologia scientista? Quali?
  • Cosa ci dicono la filosofia della scienza e la storia della scienza, oggi?
  • In che relazione stanno queste discipline (umanistiche?) con le discipline scientifiche?
  • Scienziati e tecnici possono considerarsi legittimati a sostenere lopportunità o la necessità di adottare misure contrarie alle leggi o ai principi costituzionali (quale che sia il fine perseguito)? Oppure questa eventuale responsabilità deve essere esclusivamente in carico alla politica, dopo che gli scienziati hanno esposto principi generali di salute pubblica senza entrare nel merito delle plausibili modalità di attuazione?
  • In altre parole (per esempio): posto che uno scienziato può certamente dire “è necessario rallentare la diffusione del contagio, altrimenti accadrà questo”, è ammissibile che chieda ai decisori che, per perseguire questo scopo, è necessario sospendere gli articoli 13 e 16 della Costituzione (o altri)?
  • In Europa vige ancora il principio bioetico per cui nessuna innovazione tecnologica potenzialmente incidente sulla salute può essere autorizzata prima che ne sia dimostrata sperimentalmente la non nocività? Oppure ha prevalso il paradigma opposto, tipico della cultura nordamericana, per cui tutto è autorizzato finché non ne sia provata la nocività?
Alcune di queste domande precipitano inevitabilmente nel contesto politico attuale, tirando in ballo il CTS e il rapporto CTS-governo:
  • Di fronte all’attuale situazione, si rende necessario un CTS, o il governo potrebbe/dovrebbe avvalersi degli organismi istituzionali esistenti (ISS, CSS, Aifa…), trovando modi per coinvolgere in modo ampio e costante la comunità scientifica più accreditata?
  • Se deve esistere un CTS, da quali figure professionali dovrebbe essere formato?
  • Alla luce dei verbali pubblicati, delle dichiarazioni dei membri, delle affermazioni dei governanti, delle inchieste giornalistiche… siamo oggi in grado di compiere una valutazione delloperato del CTS nelle varie fasi della gestione dellepidemia?
  • L’aspetto medico della risposta allemergenza sanitaria è stato rappresentato adeguatamente all’interno del CTS (composto per lo più da medici), o in quel contesto ha prevalso nettamente quello epidemiologico (come evitare la diffusione del contagio)?
  • In altre parole: lidea nuova” che si dovesse contrastare a tutti i costi la circolazione del virus, non ha forse finito per accantonare, o addirittura ostacolare, un approccio medico tradizionale al problema (come curare con efficacia i malati)?
  • Il rapporto consiglieri-decisori-cittadini (comprendendo nell’ultima categoria anche la comunità scientifica) è stato adeguatamente trasparente? Ci sono ragioni perché non lo sia?


CONSIDERAZIONI:

Queste domande rimandano a diversi momenti della gestione della pandemia. Uno di questi mi pare emblematico: il documento Una proposta per riaprire lItalia”, sottoscritto da autorevolissimi scienziati, tra cui Roberto Burioni che lo ha diffuso sul suo sito il 14 aprile scorso. Non posso né voglio entrare nel merito scientifico del documento; voglio porre lattenzione su una sola parola allinterno del seguente passaggio:

Per tornare gradualmente alla nostra vita di sempre, proponiamo la creazione di una struttura di monitoraggio e risposta flessibile, MRF, dellinfezione da SARS-CoV-2 e della malattia che ne consegue (COVID-19) e, possibilmente, in futuro, di altre epidemie. Questa nuova struttura, con chiare articolazioni regionali, che prevediamo operare sotto il coordinamento di Protezione Civile (PC) e Ministero della Salute (MinSan) e il supporto tecnico dellIstituto Superiore di Sanità (ISS), dovrà avere le seguenti caratteristiche generali: (…) 4) Mandato legale di proporre in modo tempestivo e possibilmente vincolante provvedimenti flessibili in risposta a segnali di ritorno del virus, tra cui forme di isolamento sociale (sospensione di attività, eventi sportivi, scuole, ecc…)”

La parola che voglio evidenziare, alle luce delle domande che ho elencato, chiaramente è “vincolante”: scienziati, tecnici che possano determinare iniziative fortemente impattanti sulla vita individuale e sociale e potenzialmente contrarie a principi e articoli della Costituzione, ponendosi al di sopra (in questo modo mi sembra che vada inteso quel vincolante”) agli stessi poteri legislativo ed esecutivo.

La data di diffusione di questo documento è interessante: esattamente 10 giorni dopo, infatti, il 24 aprile, un gruppo di medici, ricercatori, farmacologi, guidati da Piero Sestili, ordinario di Farmacologia allUniversità di Urbino, mandavano al Ministro della Salute – sincerandosi che venisse recepita – una lettera che poneva lattenzione sulla possibilità e necessità di sviluppare un discorso sulle terapie domiciliari precoci. Nel documento si legge tra l’altro: “Secondo la nostra esperienza è invece proprio in queste fasi iniziali che andrebbe intrapreso il contenimento farmacologico dellinfiammazione per evitare che i suoi danni si accumulino, trascinando alcuni pazienti in quella grave condizione poi difficilmente rimediabile. Questo appello è quindi volto a richiamare la Sua attenzione sulla necessità di promuovere ladozione tempestiva e precoce (allinizio della sintomatologia respiratoria sospetta) rispetto allodierna prassi, di una semplice terapia antinfiammatoria efficace come quella Cortisonica a medio o alto dosaggio associata, a giudizio del medico curante, a farmaci a probabile attività anti- SARS-CoV-2 come la Clorochina e allEnoxaparina per prevenire le gravi complicazioni trombotiche come la C.I.D. Questa terapia, va sottolineato, potrà essere svolta in ambito domiciliare.”

A detta dei promotori della lettera, non è mai pervenuta alcuna risposta. Eppure i contenuti della lettera (al netto di alcuni aspetti che sono state indagati e in parte chiariti da successivi studi – per esempio il ruolo dellidrossiclorochina), sono stati ampiamente validati dalle successive scoperte” di Oxford sul desametasone farmaco salvavita”, dal protocollo di cura diffuso da un luminare della farmacologia come Giuseppe Remuzzi (che parte dagli antinfiammatori), dalle recenti affermazioni del nuovo presidente dellAifa Giorgio Palù in merito al ruolo dei farmaci salvavita”, anche qui a partire dagli anti-infiammatori, e dellimportanza cruciale delle terapie domiciliari tempestive, in grado di ridurre il rischio di decorso infausto della malattia.

La quasi contemporaneità dei due documenti, vista a posteriori, suscita una riflessioni: sembrerebbe che in quel momento, in virtù della potenza del mito covid”, allora in piena costruzione, si è consumata la separazione tra medicina ed epidemiologia difensiva, a tutto danno della prima. (Nota bene: parlare di mito covid” non significa in alcun modo negare lesistenza reale del covid come malattia, o del virus Sars-Cov-2; significa rilevare che la rappresentazione che del covid è stata fatta, nei mesi iniziali della pandemia in modo unanime e unilaterale, incentrata sullassolutizzazione della sua eccezionalità”, ha ostacolato e ritardato la possibilità di conoscere le specificità” reali della malattia covid”; e di tarare le reazioni e le iniziative su quelle). La prospettiva propriamente medica è stata di fatto seppellita (se ne comincia a parlare con qualche disinvoltura soltanto oggi, pur in mezzo a ripetuti tentativi di screditare i medici che curano”, esponendo al pubblico ludibrio singoli casi impresentabili), soppiantata per iniziativa di influenti scienziati e consiglieri (per lo più medici, e non epidemiologi, tra laltro) da quella che negli effetti (non certo nelle intenzioni – non siamo complottisti!) è stata ed è unimmensa operazione di ingegneria sociale, di devastazione psicologica, di ristrutturazione economica non concertata e non passata per i percorsi della democrazia.

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