Il 25 marzo è il giorno dell’Annunciazione.
Del resto, è appena iniziata la primavera e la vita esplode sui rami.
Del resto, passato l’equinozio la luce comincia a scrivere la storia della sua vittoria.
Del resto, mancano esattamente 9 mesi al giorno di Natale, e le regole della gravidanza non sono cambiate negli ultimi 2000 anni. E non cambiano neanche se si tratta di partorire Dio.
È una data di grande suggestione. Fino al 1750 a Firenze in questo giorno si celebrava il capodanno. Non ho mai capito come mai questa festa religiosa, al contrario di altre di minor conto simbolico, sia uscita fuori dall’immaginario laico e popolare.
Le raffigurazioni antiche - fino al Quattro e anche Cinquecento - dell’Annunciazione conservano spesso la dirompente, inafferrabile complessità di questo tema, resa attraverso lo schema iconografico più semplice: l’angelo di qua, la giovane donna di là.
Un rispecchiamento impossibile, incontro tra dimensioni alternative, piani diversi inconciliabili, unità di misura non comparabili.
Il sacro e l’umano. Il materiale e lo spirituale. Il visibile e l’invisibile. Il tempo e l’atemporale. Il reale e la sua rappresentazione. Le parole e le cose.
Ho l’impressione che, come nelle mitologie orientali, la possibilità dell’annuncio si fondi proprio sull’esistenza e sulla irriducibilità di queste contraddizioni.
E che cosa annuncia l’annunciazione, se non una ulteriore impossibile contraddizione?
Contemplando quei dipinti mi pare che l’immobile annuncio riguardi l’inizio della Storia, che da sempre continua ad iniziare in ogni momento come violenza e sopraffazione; e al tempo stesso - inscindibile da essa - la sua possibile/impossibile negazione. Dove? Nel miracolo del volto, del riconoscimento dell’altro, del rispecchiamento, nella duplicità delle mani, che si possono congiungere, simile a quella delle scapole su cui sono imperniate le ali. Nell’immanenza della creazione, che apre gli istanti a traiettorie laterali dive tutto potrebbe accadere.
La logica del discorso si ferma qui: al di qua della soglia.
Nel libro “Quando le volpi puniscono gli uomini” mi sono voluto confrontare finalmente con questo tema, e l’ho fatto con la poesia, che, tra tutte le modalità del linguaggio verbale, è quella che ha la facoltà di essere al contempo forma, contenuto, azione, contraddizione ed esplosione.
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