blog di Carlo Cuppini

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domenica 6 marzo 2022

Un'altra fame - diretta video con Luca Cellini, Licia Coppo, Luigi Magli, Antonella Marsilia, Stefano Pietrinferni, Sergio Porta, Valentina Vico



Riporto di seguito il mio intervento introduttivo:

"Buonasera. Sono Carlo Cuppini. Oggi siamo qui, in diretta insieme - Luca Cellini, Licia Coppo, Luigi Magli, Antonella Marsilia, Sergio Porta, Stefano Pietrinferni, Valentina Vico - per parlare dello sciopero della fame che alcune settimane fa abbiamo deciso di intraprendere, in risposta al salto di qualità nella scala della discriminazione, che con l’istituzione del super green pass ha configurato un vero e proprio regime di segregazione: con l’esclusione dalla vita sociale e da una serie di diritti essenziali di milioni di persone, minorenni compresi, perfino con la presenza di un tampone negativo che attesti lo stato di salute.


Chi di noi aveva iniziato il digiuno intorno a metà febbraio lo sta portando avanti in alcuni casi per un giorno a settimana fino a completa rimozione di ogni forma di discriminazione. 


Altre e altri hanno iniziato in seguito e stanno tuttora portando avanti uno sciopero totale e a oltranza finché l’organismo lo consentirà. 


Decine di persone si sono unite nella forma simbolica di digiuni di 24 o 48 ore, anche ripetuti periodicamente.


Persone vaccinate e non, specifico, perché non è il vaccino il tema.


Ricordo che la nostra decisione segue quella analoga di altri, che già da dicembre scorso hanno scelto questa forma di protesta. 


È diffusa l’idea che la situazione politica e sociale sia talmente grave e drammatica da richiedere una risposta di tale livello. 


Sarebbe opportuno che politici e commentatori se ne accorgessero.


Nella particolare condizione del digiuno ciascuno ha prodotto riflessioni che si possono leggere nei rispettivi profili o blog. 


Sono parole particolari, perché smettere di nutrirsi è anche un modo per sottrarsi a modalità di discussione e di riflessione incancrenite, inautentiche, manipolate da quei creatori di etichette e di banalizzazioni che hanno gravemente inquinato la possibilità di un confronto. 


Il digiuno radicale è anche un modo per cercare un approccio diverso alla critica e alla resistenza, al quale abbiamo riconosciuto il nome impegnativo di non violenza. 


Questo stesso termine interroga oggi in modo pressante e inevitabile le nostre coscienze anche rispetto ai nuovi, tragici eventi internazionali. Le riflessioni su questo punto sono molto urgenti, ma non è questa la sede per parlarne. 


Una questione prioritaria è come dare seguito alla potenza del gesto del digiuno: una forza fatta di mitezza e determinazione che ha raggiunto molte persone e aperto canali di comunicazione inattesi con giornalisti, politici, rappresentanti delle istituzioni, osservatori internazionali; come far crescere la protesta non violenta oltre la prospettiva della staffetta di digiuni, fino al giorno in cui tutte le cittadine e i cittadini torneranno a essere uguali di fronte alla legge, ai diritti e alle opportunità.


Oggi quindi ci dedichiamo a un primo momento di riflessione collettiva, che è un’occasione di bilancio, ma anche di rilancio. 


Si susseguiranno interventi di pochi minuti in cui ognuno di noi toccherà un aspetto che gli sta a cuore.


Abbiamo deciso di non interagire con gli ascoltatori durante la diretta, in questa occasione, per non allungarne la durata, che vorremmo mantenere contenuta. Ma lo faremo a diretta conclusa rispondendo ai messaggi che saranno lasciati tra i commenti.


Inoltre ci piacerebbe che questa forma di condivisione fosse solo il primo di una serie momenti di confronto pubblico, in cui si possano incontrare diversi relatori, diversi messaggi, diverse idee e prospettive, per dare seguito insieme all’iniziativa non violenta per i diritti.


A integrazione di quanto ascolterete, nei commenti potrete trovare i link a tutti i documenti, i comunicati e gli articoli di riferimento. 


Prima di passare la parola, vorrei soltanto fare un cenno a tre punti che per me sono stati decisivi nella scelta dello sciopero della fame. 


Il primo è il rapporto tra cittadini e Stato, quindi il senso stesso della democrazia. In una società liberale lo Stato può certamente porre obblighi - quando un fatto venga ritenuto e possa essere dimostrato dirimente - e definire le sanzioni per gli inadempienti. Il ruolo dello Stato termina lì. 


Non può dare premi e punizioni, coinvolgendo addirittura i diritti essenziali e la dignità stessa delle persone, sulla base del tipo di risposta individuale data a una raccomandazione. 

Questa modalità di esercizio del potere politico non è democrazia, non è liberalismo e non pertiene alla civiltà del diritto. 

È qualcosa di diverso, che si fa fatica anche solo a nominare. 


Secondo. Durante il lockdown avevamo capito, ascoltando attentamente e con apprensione i dibattiti tra giuristi, che i diritti costituzionali possono essere toccati in via del tutto eccezionale soltanto quando la loro temporanea sospensione permetta di raggiungere un obiettivo diretto, immediato, assolutamente prioritario e improrogabile, oggettivamente non raggiungibile passando per altre vie più contemperanti. 

Il green pass non risponde a questa logica, dal momento che è inoppugnabile che il suo obiettivo non è quello diretto, affermato a luglio da Draghi, di garantire la sicurezza epidemiologica dei luoghi; ma è quello indiretto di spingere le persone a compiere una scelta pur di avere indietro i diritti negati. 


Infine, il discorso d’odio. 

Se i due punti precedenti descrivono la trasformazione dello Stato liberale in un’entità di natura completamente diversa, lo hate speech di Stato, riproposto e amplificato in tutti i livelli della comunicazione pubblica, è ciò che ha indotto una grande parte della popolazione ad accettare la stessa trasformazione. 

Dopo avere condannato per anni ogni forma di violenza verbale e di bullismo, abbiamo assistito a uno hate speech continuo che ha criminalizzato il dissenso, banalizzato e sbeffeggiato il pensiero critico, suscitato odio e violenza verso una categoria di persone simbolicamente, linguisticamente e normativamente disumanizzate: spogliate di diritti e di dignità perché “indegne di partecipare alla vita sociale”, come ebbe a dire già nel settembre scorso un governatore che sembrava delirare, ma invece era soltanto tre mesi in anticipo sui tempi della politica nazionale.


Questa non è solo la distruzione della civiltà del diritto, della cultura democratica e del tessuto sociale; è anche la diseducazione civica, il trauma psicologico, l’oggettivo impedimento a un sano sviluppo che stiamo dando alle nostre figlie e nostri figli, a centinaia di migliaia di adolescenti che guardano in silenzio quello che accade. 

E se osano parlare, vengono spesso presi a manganellate. O, in un caso “esemplare”, sottoposti a Tso. Mi riferisco allo studente liceale di Fano naturalmente. Una violenza inaudita che non ha fatto alzare nessuna voce di condanna da parte delle istituzioni; e che quindi deve essere stata considerata un fatto degno di nessuna nota. Un fatto accettabile e normale.


Ricordiamocelo bene: i nostri figli stanno imparando che il potere politico e lo Stato - inteso come l’insieme delle istituzioni - possono legittimamente manifestarsi con un volto tanto violento, irrazionale e punitivo, e insieme cinico e indifferente, fino a privare loro, o i loro compagni, o i loro fratelli più grandi, o i loro fidanzati, della dignità, e di parti irrinunciabili e irrecuperabili della loro vita.


Ho concluso."

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