blog di Carlo Cuppini

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mercoledì 25 giugno 2025

Cosa è una persona?

Qualche giorno fa una piccola tartaruga è morta. Aveva tre anni, viveva nel nostro giardino da due. In primavera, dopo il letargo, l’avevamo liberata dal recinto sull’erba in cui era stata confinata e protetta. In questi mesi aveva preso confidenza con lo spazio del giardino, aveva socializzato con le sue due simili più grandi, la micro comunità di tartarughe si era allargata e rafforzata con continui gesti di conoscenza, curiosità, affetto e cura tra loro. Aveva imparato a conoscere i due gatti; con noi umani il rapporto era cresciuto velocemente. Tra i bambini e la piccola tartaruga, soprattutto, la relazione si era approfondita e intensificata, attraverso un linguaggio costruito giorno dopo giorno, fatto di gesti, movimenti e posture riconoscibili, di appuntamenti, di dimostrazioni di fiducia, di forme - minime e primitive, forse, ma reali - di reciprocità. Le naturali insidie di cui il mondo naturale è pieno le sono costate la vita.
Io e Ramona siamo rimasti costernati e addolorati, scoprendo il suo corpo dilaniato da qualche rapace. Le immagini di quel corpo mi sono tornate in mente per due giorni e due notti. Al dispiacere si è sommato subito un senso di colpa - inutile quanto inevitabile - pieno di domande sulla responsabilità che ci siamo assunti accogliendola in casa, sull'esserne stati o meno all'altezza.
Mi è stato impossibile non pensare al dialogo tra il Piccolo Principe e la Volpe sull’addomesticamento:
“Che cosa vuol dire addomesticare?"
“È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…"
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. ”Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo."
La sofferenza di Maia e di Enea è stata grandissima. Quando gli abbiamo spiegato l’accaduto, omettendo molti dettagli, hanno pianto disperatamente. Abbiamo pianto tutti quanti, tutti insieme, a dire la verità. A lungo. Per la tartaruga, e per noi. Per ciò che esisteva soltanto finché esisteva la tartaruga ed esistevamo noi: per il valore di una relazione.
Abbiamo fatto una sepoltura e una specie di cerimonia di raccoglimento e ricordo. Maia ed Enea gli hanno scritto dei biglietti di congedo. C’erano frasi come: “non ti dimenticherò mai”, “per me sei stato come un fratellino”, “sei insostituibile”, “ti ho voluto tantissimo bene e te ne vorrò sempre”.
Tutte queste affermazioni sono vere, sono piene di una verità assoluta.
Ringo, questo era il nome della piccola tartaruga, è stato un membro della nostra famiglia, al pari degli altri animali che vivono con noi. Chiunque abbia o abbia avuto un animale sa di cosa parlo. Ma voglio spingermi oltre: Ringo è stato una persona, e la cosa che lascia annichiliti è che questa persona non c’è più.
Non sto parlando di umanizzazione di un animale - cani con fiocchetti e scarpine, tolettature strampalate o altri comportamenti che considero deleteri. Sto parlando di un preciso significato delle relazioni.
Che cos’è una persona?
Non è corretto dire che persona è sinonimo di essere umano. Tutti sentiamo che alcune creature o entità che non sono esseri umani possono avere lo status di persona. E tutti sappiamo che non tutti gli esseri umani - purtroppo - lo hanno. Esistono "persone non umane". Ed esistono esseri umani considerati e trattati come non persone.
Che cos’è una persona?
Ci ho pensato molto, in seguito alla morte di Ringo.
Credo che persona sia un concetto legato alle relazioni. Relazioni effettive, sperimentate, soprattutto; ma anche relazioni potenziali (tutti gli esseri umani).
Persona è una creatura con cui intercorre (o potrebbe intercorrere) una relazione fondata sul riconoscimento e su forme - non necessariamente paritarie o sofisticate o complesse, pensiamo a quelle con un neonato - di reciprocità.
Persona è una creatura a cui riconosciamo - soggettivamente o giuridicamente - una storia, una dignità, dei diritti, un nome, un volto, una unicità, una personalità.
La scomparsa di una persona causa una sofferenza immensa, perché un intreccio di scambi si interrompe e una parte di noi, la parte coinvolta in quegli scambi, scompare per sempre. La scomparsa di una persona è un mistero assoluto, non riusciamo a pensarla, eppure accade. Viene da pensare a Platone, e all’anima: l’anima - la persona - deve essere immortale, perché è ciò che muove il corpo; e, per quanto abbia una relazione con il corpo apparentemente simile a quella che c’è tra la musica e lo strumento, è l’anima - la persona - che fa muovere il corpo, mentre non è la musica che fa muovere lo strumento, mentre ne è il prodotto. Questo è Platone, più o meno.
In India, nel 2013, i delfini sono stati definiti giuridicamente “persone non umane”. L’anno scorso in Argentina un orango ha ricevuto lo stesso status, e in questo modo gli sono stati riconosciuti alcuni diritti simili a quelli degli esseri umani: a non essere detenuto e a non essere torturato.
Dall’altra parte, ci sono gli umani che non sono persone. Quasi tutti i Palestinesi non lo sono: si accetta che a loro vengono inflitte pene che non sarebbero tollerate per quasi nessun altro essere umano, e neanche per molte specie animali. A meno che, occasionalmente e involontariamente, uno di loro non si guadagni lo status di persona: a partire dal nome, dal volto, da una storia. È accaduto al piccolo Adam, l’unico sopravvissuto tra i figli di Alaa al-Najjar, pediatra di Gaza. Era successo dieci anni fa al piccolo Alan Kurdi, bimbo siriano morto su una spiaggia greca, al quale addirittura è stata dedicata una pagina di Wikipedia. Quella volta - come spesso accade - era stato merito di una fotografia.
Il contributo che ho dato al volume curato da Giulio Milani “Noi siamo l’opposizione che non si sente” - un’antologia di riflessioni critiche sulla gestione pandemica uscita nell’autunno 2021 - s’intitola “L’estate delle non persone”. Parla del green pass allora appena varato e denuncia la spersonalizzazione dei non vaccinati, per i quali si stava definendo un regime di apartheid e segregazione ingiustificabile da qualunque punto di vista. Un risultato ottenuto attraverso la creazione culturale della figura del capro espiatorio e una cosciente, intenzionale, campagna di odio, di delegittimazione, di criminalizzazione.
Non c’è alcuna proporzione o similitudine, ovviamente, tra il genocidio dei palestinesi e la persecuzione dei non vaccinati in Italia nel 2021-2022. Se riporto i due episodi insieme è perché entrambi hanno a che fare, con conseguenze diverse e appunto incomparabili, con il concetto di non persona. Un concetto che ritorna ciclicamente nella Storia e che nell’epoca moderna ha sicuramente avuto la massima deflagrazione e concettualizzazione esplicita con gli Untermensch del discorso nazista.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi con che coraggio ho svolto queste riflessioni a partire da un fatto tanto irrilevante come è la morte di una tartaruga. Come oso dedicare tanta attenzione a un fatto così microscopico e privato, quando ogni giorno, senza sosta, esseri umani, bambini, vengono trucidati?
Me lo sono chiesto, prima ancora di mettermi a scrivere, preso da un’esitazione. Poi ho deciso di scrivere tutto, perché credo che il punto sia questo: un mondo giusto sarebbe quello in cui chiunque, in ogni luogo, avesse il diritto di vivere una vita così serena e semplice da poter dedicare attenzione e sentimento alla morte di una tartaruga. Da poter soffrire per essa, per quel la parte di sé che se ne va con essa, senza sentire il rombo di un’abissale ed empia sproporzione.

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