blog di Carlo Cuppini

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giovedì 26 giugno 2025

Qualche riflessione su riarmo e aumento delle spese militari

Sul riarmo e l’aumento delle spese militari al 5% del PIL, approvato l’altro ieri anche da Meloni al vertice Nato (da tutti i leader europei tranne Sanchez, in effetti): siete sicuri di avere capito bene di cosa stiamo parlando? La calma, anzi l’indifferenza, che vedo intorno a me mi fa sorgere qualche dubbio. Vediamo un momento insieme. È importante.

L’Italia oggi spende l’1,7% del PIL in armi, difesa ecc. Si tratta di 33 miliardi di euro all’anno.
Arrivare al 5% del PIL significa triplicare la spesa, arrivando a spendere circa 100 miliardi di euro all’anno.

Cosa significa 100 miliardi di euro?

Se questi soldi dovessi metterli io - se la Meloni venisse a casa mia e mi dicesse: “Sei stato cattivo, antipatriottico, disfattista: quindi da adesso la spesa militare italiana la paghi tu” - per procurarmi quella cifra dovrei lavorare 4 milioni di anni. Immagino che per molti di voi che leggete sarebbe lo stesso, mille anni più mille anni in meno. Questa cosa si potrebbe anche dirla così: da oggi sarà come se 4 milioni di italiani che percepiscono uno stipendio medio lavorassero per dare il 100% della loro retribuzione netta allo Stato per le armi. 

Cento miliardi di euro è molto più di quanto lo Stato spende annualmente per l’istruzione, cioè 80 miliardi annui, il 4% del PIL.
Per ricerca e sviluppo – un settore che dovrebbe, o potrebbe, produrre conoscenza, innovazione, eccellenza, competitività, credibilità nazionale, lavoro, impresa, efficienza, salute, benessere, maggiore equità… – l’Italia spende ogni anno 27 miliardi, appena l’1,1% del PIL.
E per la sanità - la famosa sanità che dal tempo del covid si è scoperta essere - ci dicevano - il centro del centro delle priorità sociali e politiche? A livello nazionale la spesa per la sanità è circa 140 miliardi l’anno, il 6,7% del PIL.
Consideriamo che la spesa pubblica italiana totale si aggira intorno ai 900 miliardi di euro, e la parte relativamente maggiore - il 16/17% - va nelle pensioni.

Questi 70 miliardi annui di spesa militare in più, secondo voi, dove li prenderanno, visto che i soldi non crescono sugli alberi?
Non è difficile immaginarlo. Esistono solo tre strade, e quello che farà il governo Meloni, e che faranno anche i successivi, vincolati all’impegno preso l’altro ieri, sarà una combinazione più o meno variata delle tre opzioni:
- aumento delle tasse;
- taglio delle altre spese (pensioni, sanità, istruzione, ricerca, disoccupazione e altri sussidi, cultura);
- creazione di debito pubblico.
Il terzo punto, evidentemente, è solo un modo per ficcare la testa sotto la sabbia e per spostare il problema da oggi a domani, sfilando denaro dalle tasche dei nostri figli a loro insaputa, per poi tornare in ogni caso ai punti uno e due.

Ci può essere forse qualche dubbio sul fatto che in ogni caso l’Italia verrà in brevissimo tempo devastata?

Questo “scherzetto” voluto da Trump – e dallo spaventoso, scodinzolante (davanti a Trump) Rutte – renderà i Paesi europei, e probabilmente l’Italia più di tutti gli altri, una landa desolata: terra di stenti, di disperazione, di incursioni, di lottizzazioni, di razzie, di svendite fallimentari, di schiavitù e umiliazione.
(Per inciso, questo risultato sarà ottenuto grazie agli sforzi per una volta congiunti di europeisti e sovranisti.)

Più in dettaglio, noi non saremo solo ridotti in miseria individualmente, attraverso la riduzione dei salari e delle pensioni, e il contestuale aumento della tasse (con probabile ulteriore aumento del costo dell’energia), e quindi il crollo del potere d’acquisto. Ma aumenterà il costo del lavoro, la disoccupazione, le aziende piccole e medie andranno in crisi e chiuderanno, sarà tutto un risico finanziario tra colossi che si divorano tra di loro, lo Stato e gli Enti locali saranno costretti a vendere e svendere ancora di più i loro (cioè, i nostri) beni architettonici, artistici, industriali, tutto sarà privatizzato e venduto a società straniere, i poveri non solo non avranno niente, ma non avranno più neanche i servizi assistenziali e sociali che già oggi non sono neanche lontanamente sufficienti a compensare il dilagante stato di miseria. Infine, le finanze pubbliche dissestate e andate completamente fuori da ogni recinto di sostenibilità, metteranno l’Italia e altri Paesi europei nella stessa condizione in cui si trovò la Grecia nel 2009. Vi ricordate cosa è accaduto alla Grecia tra il 2009 e il 2018 (con le conseguenze che non sono certo terminate)? Vi ricordate le persone che si davano fuoco per strada? Vi ricordate che la gente non aveva più accesso alle cure mediche, e moriva male? E che le pensioni sono state dimezzate dalla sera alla mattina, e chi fino a quel giorno stava bene ha iniziato a cercare il cibo nei bidoni della spazzatura? Ricorderete anche il nostrano periodo Monti, il “commissariamento dell’Italia”, con la politica nazionale fatta a colpi di ricatti finanziari, di terrorismo dello spread, orientata all’unico obiettivo di rendere i cittadini più poveri e la società più arida, invivibile, depredabile.

E oggi, l’Italia? Come è messa oggi, l’Italia che si appresta a triplicare la spesa per le armi e per la Nato? Come è messa l’Italia dopo il covid, dopo i lockdown, dopo i monopattini e le sedie a rotelle, dopo il PNRR (che per la maggior parte è un prestito, e quindi da restituire con tasse, tagli e debito, di nuovo), dopo la mostruosa orgia finanziaria del superbonus…
Ecco come è messa, l’Italia oggi: oggi in Italia quasi il 10% della popolazione, quasi 5,6 milioni di persone, vive sotto la soglia della povertà assoluta, e il numero è in crescita. Nel 2005 erano 1,9 milioni di persone, un terzo rispetto a oggi; nel 2015 4 milioni e mezzo, il 7,6% della popolazione totale. State immaginando il grafico?

Povertà assoluta significa non potersi permettere di spendere quanto sarebbe richiesto per condurre una vita minimamente dignitosa, e non poter quindi soddisfare i bisogni fondamentali, propri e dei propri figli e familiari, come cibo, alloggio, vestiti, salute, istruzione, cultura.
Penso che tutti noi che abbiamo un lavoro e che percepiamo una retribuzione più o meno media, sentiamo che questa condizione che non dovrebbe nemmeno esistere si fa ogni anno più vicina. Sappiamo che qualcuno di noi, qualcuno di quelli come noi, che non ha niente di diverso da noi, potrebbe caderci da un momento all'altro.

Al termine di queste riflessioni mi domando: ma perché stiamo continuando a fare come se niente fosse? Perché stiamo seduti alle scrivanie impegnati in telefonate ed email di lavoro? Perché parliamo oziosamente dell’opportunità o meno di fare presentazioni di libri (!)? Perché leggiamo notizie su Garlasco o sul bambino affogato in piscina? Perché guardiamo le serie su Netflix? Perché in questo momento, in queste ore, non stiamo paralizzando il Paese per fermare e rigettare tutto questo e per tirare schiaffi a chi ci sta levando anche le mutande? Ricordiamoci che siamo sempre noi, con la nostra obbedienza, con il nostro sostanziale fatalismo, a decidere come devono andare le cose. Siamo noi i responsabili delle nostre vite, e delle odiose oppressioni e privazioni che ci vengono imposte.
 
È davvero questo che vogliamo per noi, per i nostri figli?
Quanto valgono la nostra libertà, il nostro lavoro, la nostra dignità?
Quando cominceremo a sentirci veramente in pericolo?
Che significato siamo disposti a dare al concetto di autotutela?

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