Papa Francesco era venuto dalla fine del mondo.
Il mio unico racconto papale viene dal mondo senza gli atomi.
Spaziale papale
Dallo spazio, il papa continuava a lanciare messaggi, benché sulla Terra non ci fosse rimasto nessuno a riceverli. Da quando era stato lanciato in orbita, appena un mese prima, le cose sul terzo pianeta erano precipitate e l’umanità si era estinta in capo a una settimana, portando con sé ogni altra forma di vita. Un olocausto generale, colossale, rapido e indolore. Ma questo il papa non lo poteva sapere. Da lassù aveva percepito il divampare di incendi smisurati, di dimensioni bibliche, estesi su tutti i continenti; negli ultimi giorni l’atmosfera gli si presentava rossastra e caliginosa, impedendogli quella limpida visione di cui aveva potuto godere appena aveva iniziato a galleggiare nell’orbita terrestre. Il papa non immaginava però che l’interruzione delle comunicazioni con la Terra potesse essere causata dalla scomparsa del genere umano; pensava piuttosto a un problema tecnico, di trasmissione dei dati, come era facile sperimentarne anche laggiù, nonostante le tecnologie avanzate, con il telefono o con il web. Di certo, presto avrebbero mandato qualcuno a riparare quello che andava riparato, il microchip sotto la papalina, probabilmente. O forse (questa era l’ipotesi più ottimistica) il problema stava là, sulla Terra, e i tecnici lo stavano già risolvendo: entro poche ore, si diceva il papa, la comunicazione sarebbe tornata regolare.
Intanto, nel dubbio che le trasmissioni dalla sua postazione alla Terra andassero ancora a buon fine, anche senza avere feedback, il papa continuava a mandare i suoi dispacci con regolarità.
«Una bellissima cometa sta sfiorando un asteroide roccioso, o un meteorite, non so. Per fortuna non ci sono stati incidenti».
«Vedo una nube galattica avvicinarsi rapidamente alla Terra. Prevedo un pomeriggio di foschia e piogge stellari».
«Dio sta dormendo da tre ore. Russa leggermente. Adesso si sta girando su un fianco».
«La Madonna manda a dire che in casa stanno tutti bene e ringrazia per le candele accese questa mattina a Bogotá».
Il papa non vedeva né nubi galattiche, né Madonne, né Dio. Ma qualcosa doveva pur raccontare all’umanità in ascolto. Si erano adoperati tanto per spedirlo lassù, incorporandogli un comodissimo procura-ossigeno-e-cibo a pannelli solari. E poi l’entusiasmo incontenibile, sia dei fedeli che degli atei: tutti lo avevano incoraggiato, pregato, amato, invidiato. Il papa in orbita… Che idea formidabile! Non aveva potuto tirarsi indietro e alla fine aveva accettato di buon grado.
Adesso si godeva bellissimi panorami astrali e non doveva preoccuparsi di nulla, se non di dare un po’ di speranza alla gente, facendo magari un po’ di intrattenimento di qualità. Non come prima, sulla Terra, che era pieno di rotture di scatole che neanche il presidente degli Stati Uniti poteva immaginare. Adesso, per esempio, se gli veniva da orinare, doveva solo calarsi le braghe e farla lì, davanti a sé, nello spazio infinito: una bolla di liquido giallo che fluttuando si andava a disperdere tra i misteri del cosmo. Lo stesso valeva per i bisogni più solidi. Che incanto, assistere alla lenta deriva degli escrementi! Che straordinaria senso di libertà!
Il papa era l’uomo più felice del mondo. Non si sentiva così da quando, bambino, si andava a nascondere sui covoni di fieno graffiandosi tutte le ginocchia, quando i genitori lo chiamavano per dire che era pronto in tavola e lui non voleva mai andare.
Nel suo idillio spaziale, niente poteva fargli credere che l’umanità aveva appena scritto l’ultima pagina della sua storia. Ma probabilmente, anche se la notizia avesse potuto raggiungerlo, non si sarebbe dato gran pena.
L’ultimo uomo se ne stava là beato, completamente spensierato e quasi felicemente inebetito, lieto di come si apprestava a condurre l’ultimo scampolo della sua fin troppo lunga vita, la veste bianca rigonfia di sbuffi cosmici, ciondolante come una vecchia campana.
Il mio unico racconto papale viene dal mondo senza gli atomi.
Mi sa che oggi glielo devo proprio dedicare...
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Spaziale papale
Dallo spazio, il papa continuava a lanciare messaggi, benché sulla Terra non ci fosse rimasto nessuno a riceverli. Da quando era stato lanciato in orbita, appena un mese prima, le cose sul terzo pianeta erano precipitate e l’umanità si era estinta in capo a una settimana, portando con sé ogni altra forma di vita. Un olocausto generale, colossale, rapido e indolore. Ma questo il papa non lo poteva sapere. Da lassù aveva percepito il divampare di incendi smisurati, di dimensioni bibliche, estesi su tutti i continenti; negli ultimi giorni l’atmosfera gli si presentava rossastra e caliginosa, impedendogli quella limpida visione di cui aveva potuto godere appena aveva iniziato a galleggiare nell’orbita terrestre. Il papa non immaginava però che l’interruzione delle comunicazioni con la Terra potesse essere causata dalla scomparsa del genere umano; pensava piuttosto a un problema tecnico, di trasmissione dei dati, come era facile sperimentarne anche laggiù, nonostante le tecnologie avanzate, con il telefono o con il web. Di certo, presto avrebbero mandato qualcuno a riparare quello che andava riparato, il microchip sotto la papalina, probabilmente. O forse (questa era l’ipotesi più ottimistica) il problema stava là, sulla Terra, e i tecnici lo stavano già risolvendo: entro poche ore, si diceva il papa, la comunicazione sarebbe tornata regolare.
Intanto, nel dubbio che le trasmissioni dalla sua postazione alla Terra andassero ancora a buon fine, anche senza avere feedback, il papa continuava a mandare i suoi dispacci con regolarità.
«Una bellissima cometa sta sfiorando un asteroide roccioso, o un meteorite, non so. Per fortuna non ci sono stati incidenti».
«Vedo una nube galattica avvicinarsi rapidamente alla Terra. Prevedo un pomeriggio di foschia e piogge stellari».
«Dio sta dormendo da tre ore. Russa leggermente. Adesso si sta girando su un fianco».
«La Madonna manda a dire che in casa stanno tutti bene e ringrazia per le candele accese questa mattina a Bogotá».
Il papa non vedeva né nubi galattiche, né Madonne, né Dio. Ma qualcosa doveva pur raccontare all’umanità in ascolto. Si erano adoperati tanto per spedirlo lassù, incorporandogli un comodissimo procura-ossigeno-e-cibo a pannelli solari. E poi l’entusiasmo incontenibile, sia dei fedeli che degli atei: tutti lo avevano incoraggiato, pregato, amato, invidiato. Il papa in orbita… Che idea formidabile! Non aveva potuto tirarsi indietro e alla fine aveva accettato di buon grado.
Adesso si godeva bellissimi panorami astrali e non doveva preoccuparsi di nulla, se non di dare un po’ di speranza alla gente, facendo magari un po’ di intrattenimento di qualità. Non come prima, sulla Terra, che era pieno di rotture di scatole che neanche il presidente degli Stati Uniti poteva immaginare. Adesso, per esempio, se gli veniva da orinare, doveva solo calarsi le braghe e farla lì, davanti a sé, nello spazio infinito: una bolla di liquido giallo che fluttuando si andava a disperdere tra i misteri del cosmo. Lo stesso valeva per i bisogni più solidi. Che incanto, assistere alla lenta deriva degli escrementi! Che straordinaria senso di libertà!
Il papa era l’uomo più felice del mondo. Non si sentiva così da quando, bambino, si andava a nascondere sui covoni di fieno graffiandosi tutte le ginocchia, quando i genitori lo chiamavano per dire che era pronto in tavola e lui non voleva mai andare.
Nel suo idillio spaziale, niente poteva fargli credere che l’umanità aveva appena scritto l’ultima pagina della sua storia. Ma probabilmente, anche se la notizia avesse potuto raggiungerlo, non si sarebbe dato gran pena.
L’ultimo uomo se ne stava là beato, completamente spensierato e quasi felicemente inebetito, lieto di come si apprestava a condurre l’ultimo scampolo della sua fin troppo lunga vita, la veste bianca rigonfia di sbuffi cosmici, ciondolante come una vecchia campana.

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